Ravera, quando la politica si fa anima e corpo

«Con Bruno sì che prendevamo milioni di voti: erano tutte le sue donne»

Il tributo arriva inaspettato, fra un manifesto affisso, un fritto misto cucinato, un furgone di bibite scaricato. Bruno Ravera è così, uno che non molla mai. Mica li sente i suoi 78 anni, e quando li sente fa spallucce. Due anni fa finì all’ospedale con un embolo al polmone e una gamba rotta. I leghisti andarono a trovarlo in processione, «Bruno non sarà più lo stesso adesso» avevano scritto in faccia. Lui invece si alzò dal letto prima del tempo, e approfittò dell’attenzione per impartir lezioni ai malcapitati che gli facevano visita: «Il territorio, ricordatevi il territorio. La politica non si fa nei palazzi, ma per la strada».
Di Umberto Bossi si vanta di non aver mai avuto timore, «lui è uno burbero ma io le cose gliele ho sempre dette in faccia». Era segretario “nazionale”, che ogni regione è una nazione nell’auspicata federazione leghista, ai tempi d’oro dei milioni di voti anche in Liguria. In fondo, fu lui a metter su dal nulla la Lega ligure. E allora càpita che il Senatùr l’altra sera alla festa di Arenzano abbia zittito l’orchestra, inforcato il microfono a sorpresa e indicato Ravera: «Vedete lui? È l’uomo che ha fatto la Lega in Liguria. Ha 190 anni e se ne va ancora in giro a cercar voti. Dovete far così, ci vuole passione, anima e corpo. Ravera ha bagnato il naso a tanti giovani. E poi le donne».
Ed è qui che l’Umberto, fra il serio e il faceto, si lancia in un parallelismo fra l’amore per la politica e gli amori della politica, quel che si dice la politica fatta anima e corpo, ecco. Imperdibile. C’è Ravera che tan’è protesta: «Non ho 190 anni, sono solo 78», e Bossi implacabile: «le donne lo vedevano e dicevano: ma quello è proprio un maschio». Ravera si agita, il senatur insiste: «Eddai Ravera non ti incazzare, è incazzoso sapete, nonostante gli anni se ti tira un pugno ti mette giù. Fa finta di esser ligure, ma è di Alessandria. Comunque ne ha fatte di tutti i colori con le donne». Non c’è verso, non lo fermano più: «Prendevamo un sacco di voti con Ravera, perché tutte le sue donne poi votavano Lega Nord. Era pieno di amanti, una volta me ne ha presentata una. L’unico che non tradiva la moglie ero io, dovevo sempre richiamarli all’ordine questi qua».
Bei tempi quelli là. Mai mulà, si diceva. Vale ancora. Bossi il leone in gabbia ricorda il passato, ma sia chiaro che non è amarcord. «Ravera, l’hai fatto perché ci credevi. Noi siamo pronti a ricominciare la grande battaglia, le basi le abbiamo messe l’altra sera a cena a casa di berlusconi. Non si ottiene nulla stando seduti. Prendete gli svizzeri. Sono un popolo che non si fa mantenere, gente che lavora e che non vive sulle spalle degli altri. Loro non hanno schiacciato i popoli, sono uno Stato basato sulla democrazia e non sugli affari».
Finisce con Ravera commosso che dice: «Bossi dammi una mano, ho ancora bisogno di te, per la grande battaglia insieme».

Parrebbe una scena strappalacrime, ma lì sul palco ci sono quella testaccia dura di Bruno Ravera e quel ruvido animale della politica che è Umberto Bossi, e allora la sensazione è che mica conta l’età, la grande battaglia è appena cominciata.

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