Re Giorgio, l'unico stilista che fa volare gli stracci

L'ultima polemica dell'icona dello stile italiano

Re Giorgio, l'unico stilista che fa volare gli stracci

Se ti capita di chiamare una collega della moda nel mo­mento sbagliato, dall’altra parte del telefono risponde di sicuro una voce tremula: «Scu­sa, non posso, sta arrivando Armani...». È in atto, in effetti, una tempesta ormonale e il tutto durante quello che nel settore viene chiamato «bacio della pantofola», ovvero l’os­sequio rigoroso della stampa al culmine delle sfilate. Con domande ficcanti del tipo: «Che bella collezione...». Non è una domanda? Infatti.

D’altro canto lui è il re, Re Giorgio. Perché se la mo­da è la faccia del made in Italy del mondo, Armani è il volto di una moda intesa come tale, ovvero co­me gruppo di aziende che produ­cono vestiti. Da mettere. E que­sto non è un particolare inin­fluente, soprattutto per uno che una volta disse che non serviva «mostrare il culo per vendere bor­sette ». Capirete che nell’era del velinismo in passerella non è co­sa da poco.

Insomma, se è vero che i nostri stilisti hanno messo la firma nel mondo, Giorgio Armani ci ha messo in più anche la lingua, per­ché fin da subito - ovvero da quan­do aprì l’azienda - decise di entra­re nei défilé facendosi notare. Non è un caso che uno dei primi contenziosi a scuotere un circo fatto di sorrisi e bacetti davanti, ma pugnalate alle spalle, fu uno scontro frontale con Gianni Ver­sace, un altro genio del fashion , accusato dal futuro Re di confe­zionare abiti più per signorine del boulevard che per le donne di classe. «Io vesto la Berenson» af­fermò compiaciuto Giorgio, pro­vocando l’altrettanto compiaciu­to svenimento nel backstage.

In seguito, con il crescere del gruppo la cui sede oggi è un palaz­zo e i cui abiti sono ambiti dalle migliori star del pianeta, Armani non ha mai mancato di far sapere la sua, anche quando - come nel caso di ieri - la domanda (seppur sempre priva di punto interroga­tivo finale) non è nemmeno arri­vata. È stato un monologo, in pra­tica, e come sempre Re Giorgio ha detto la verità: la sua ovvia­mente, ma almeno qualcosa su cui meditare.

Ovvio, allora, che uno come lui risulti quasi una mosca bianca nel momento in cui gli abiti sono tutti belli e il preconfezionato va - quello sì - spesso di moda in con­ferenza stampa e negli articoli conseguenti. E allora: gli metto­no un «bellissimo» monumento a Pertini a forma di cubo davanti a l negozio? Lui l o demolisce a pa­role: «Ho offerto anche dei soldi per farlo spostare...». Oppure: lo accusano di essere monotono con quel suo nero un po’ fune­reo? Lui non batte ciglio: «Lutto? Il lutto mi fa schifo». Come dire: non è uno che si nasconde. E ne­anche potrebbe, con quel voluto argento dei capelli che risalta lo scuro stile Armani, abbronzatu­ra compresa, e piace a tutte le donne del mondo.

Così Re Giorgio, negli anni, ha preso coscienza di essere il mi­gliore e - a fronte di qualsiasi di­battito tra gli intenditori sulla re­altà della hit parade degli stilisti ­non dimentica mai di mandare un pensierino ai colleghi. L’ulti­mo, evidente, prima di quello che ha agitato la «Milano Uomo» di questi giorni, è stato due anni fa, quando gli amati (poco) Dolce& Gabbana vennero accusati di aver copiato un real pantalone: «Sicuramente abbiamo ancora tanto da imparare - risposero i due, pensan­do di avere l’ul­tima parola - , ma non certo da lui». Re Giorgio respi­rò, prese il suo tempo e poi si­bilò: «Mi aspet­tavo maggior leggerezza nel­la loro reazio­ne, anche per­ché tutti nel nostro mestie­re copiano. An­che io ho co­piato Chanel e Yves Saint Lau­rent. Ma forse loro si sono of­fesi ». Polemi­ca finita.

E quindi: uno che ce l’ha con Roma («una volta c’era, ora c’è solo Parigi») ma anche con Milano («in via Montena­poleone la se­ra non c’è mai nessuno.

E quelli che ci so­no sono privi di stile»), uno che ce l’ha coi banchieri che si prendono la mo­da ma anche con la moda che si fa strangolare dai banchieri, a uno così insomma si fa fatica a replica­re, pure quando ha torto. Anche se poi in realtà, alla fine, spesso ha ragione lui.

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