Quel "re del mattone" tra genio e sregolatezza nella Duomo connection

Morto Coraglia, assolto dopo 4 anni di cella per l'inchiesta che cambiò il volto della città

Quel "re del mattone" tra genio e sregolatezza nella Duomo connection
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«Un uomo simpatico e leale, un venditore geniale. Uno che come tutti a Milano in quegli anni ha subito gli approcci della mafia e che è saputo starne lontano. E che ciò nonostante si è fatto quattro anni e mezzo di carcere ingiustamente». Lodovico Isolabella, grande vecchio dell'avvocatura milanese, ricorda così Sergio Coraglia, l'inventore della Montimmobiliare, che assisteva insieme a Giuseppe Fiorella. Due nomi - l'uomo e l'impresa - che oggi a pochi dicono qualcosa. E che invece hanno segnato un punto cruciale nella storia politica e giudiziaria della città, la fine della sbornia della «Milano da bere» e il cupo mutamento di clima che preludeva allo scoperchiamento di Tangentopoli.

Coraglia se ne va qualche giorno fa, ormai anziano, per una infezione non afferrata in tempo. Era salito suo malgrado alla ribalta della cronaca un giorno di maggio del 1990, quando i carabinieri di Sergio «Ultimo» De Caprio mandati da Ilda Boccassini erano andati ad arrestarlo nella sua bella casa, attico e superattico a Milano 2. Nelle stesse ore il Crimor, la squadra speciale di De Caprio, arrestava altri indagati di estrazione e accenti ben diversi: siciliani accusati di essere la nuova faccia milanese di Cosa Nostra, quella dei mattoni e degli appalti; in testa al gruppo Toni Carollo, figlio di un boss assassinato ma geometra incensurato e sgobbone. Era iniziata la «Duomo connection», l'inchiesta che per la prima volta portò il pool antimafia della Procura a scavare dentro Palazzo Marino.

Per la Boccassini, la Montimmobiliare («la sicurezza di un affare», recitava il jingle che riempiva le tv private) era il crocevia dell'alleanza tra due mondi fino ad allora incomunicabili. I nomi di politici al di sopra di ogni sospetto finirono nelle intercettazioni e poi sui giornali, il sindaco venne iscritto in gran segreto nel registro degli indagati. La città era impreparata e incredula. Di mafia a Milano si parlava da vent'anni, ma che anche sotto la Madonnina gli steccati tra crimine e politica fossero saltati appariva a molti inverosimile.

«Adesso - dice Isolabella - sappiamo che non era vero niente». Ma non si capiscono quei mondi e quegli anni se non si racconta Coraglia. Veniva da Alba, nelle Langhe, e a Milano si era fatto strada inventando il premio «Qualità & Cortesia»: i commercianti in cerca di gloria raccoglievano adesioni ritagliando coupon sui giornali della sera, e venivano premiati da assessori e politici vari. Ma la sua vera intuizione era stato il «cambialone», un giro di crediti che consentiva di comprare appartamenti anche a dipendenti dallo stipendio modesto. I palazzi della «Montimmobiliare» fiorivano in città e soprattutto nell'hinterland. Per questo servivano i rapporti politici. Coraglia non se li faceva mancare. Se c'era da pagare pagava.

Fumatore incallito, esuberante sbancatore della roulette di Saint Vincent, vulcanicamente creativo, dal tritasassi della «Duomo» era uscito alla fine assolto con formula piena, e si era rituffato nel business con la sua nuova creatura, i «Girasoli» all'Arco della Pace.

Aveva una brava moglie e un'amante ufficiale, Alfredina detta Freddi, che interrogata in aula tenne testa brillantemente alla Boccassini («vuole davvero sapere quante mutandine mi sono comprata con i soldi di Coraglia?»). Dalla gabbia, lui la guardava commosso.

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