Sento ma non ascolto. È una frase furbastra, pronunciata da Josè Mourinho dopo la sconfitta al Bernabeu contro il Barcellona. Sente i fischi e le parole perfide che una parte del tifo madridista e della stampa spagnola gli stanno scaricando addosso. Ma non ha voglia di ascoltarle, per difendere la propria personalità indiscutibile. Che incomincia a essere discussa, insieme con la sua competenza tattica, smascherata dall'assurda scelta di Altintop difensore su Iniesta e di Carvalho, reduce da infortunio. "Mourinhada" è diventata la formula per definire una qualunque cosa stramba, arrogante e fasulla non solo nel football. Mourinhada è dire o pensare che Juan Carlos sia il portiere dell'Elche, seconda divisione, e non il re.
Mai nella storia del club il Real era stato definito la squadra dei villani e «sucia», sporca, sudicia, come sta accadendo. Lo special one andrà con ogni probabilità a vincere la Liga, disponendo di 5 punti di vantaggio sul Barça. E forse anche la Champions, primo allenatore nell'impresa con tre squadre diverse. Ma l'immagine di Mourinho è cambiata, intossicata dal suo carattere che ha trasmesso al gruppo una tensione, una aggressività, una violenza agonistica che si esalta in un paio di calciatori, Pepe e Carvalho (portoghesi, per combinazione) e ha finito per contagiare Xabi Alonso «quemado», come scrivono gli spagnoli, bruciato nelle energie nervose e fisiche, facendo venire alla mente la situazione degli interisti post triplete. Lo special one ha detto di essere il solo responsabile della sconfitta ma non ne ha spiegato le ragioni, come fanno, del resto, i suoi sodali (Lippi dopo il mondiale sudafricano), fuggendo all'illustrazione degli errori.
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