Il record delle aziende italiane: seconde al mondo per l’export

Esiste una verità formale, che parla di un’Italia in declino e sempre in ritardo rispetto agli altri Paesi occidentali. Ed esiste una verità sostanziale, di un’Italia che resiste molto meglio di quanto si creda e che in certi settori brilla.
La prima fa notizia, assecondando un pessimismo diffuso. La seconda è colta solo da economisti del calibro di Marco Fortis, responsabile dell’Ufficio economico di Edison, che questa mattina a Milano, assieme al professor Alberto Quadrio Curzio, presenterè il volume La fondazione Edison. Dieci anni per l’economia italiana in Europa. «Non si tratta di sostenere visioni ottimistiche, ma realiste», spiega Fortis. Ad esempio impostando il discorso in modo diverso sulla produttività delle aziende italiane. «Se si chiede: è facile essere produttivi nel nostro Paese? La risposta non può che essere no - dichiara al Giornale - Ma se si guardano i risultati, la risposta è straordinariamente positiva. Altro che decadenza! Le aziende italiane sono seconde solo alla Germania in termini di competitività nel commercio mondiale, ma davanti alla Cina».
Trattasi dei dati elaborati dalla Fondazione Edison sulla base del Trade performance index, ma che trovano conferma anche nelle statistiche Istat. Per buona parte dello scorso decennio l’export delle medie imprese italiane ha segnato tassi di crescita cumulativi pari al 43%, appena due punti sotto quelle tedesche, ma molto di più di quelle francesi (+16%) o giapponesi (+25%). Fortis sostiene, in perfetta solitudine, una realtà ignota ai più: «La meccanica italiana genera più valore aggiunto di tutta l’industria farmaceutica della Ue»; il che apre un altro squarcio, sovente taciuto: statisticamente questo Paese investe poco nella ricerca, eppure i livelli di eccellenza delle imprese specializzate nel nostro Paese sono straordinari, proprio grazie a un’innovazione che l’analisi economica tradizionale non riesce a cogliere.
Anche sugli effetti della crisi dei subprime Fortis va controcorrente. «L’Italia ne ha sofferto, come noto, ma lo stock di ricchezza delle famiglie è già tornato ai livelli del 2007 e i consumi hanno retto». E questo perché la struttura dell’economia privata italiana è molto più solida di Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Spagna che in passato hanno registrato performance straordinarie, ma drogate in quanto basate su un debito privato che oggi va ripagato e che mette in crisi i bilanci delle famiglie di questi Paesi, dove «il reddito è alto, ma eroso da rate spesso pesantissime».
Il debito pubblico resta preoccupante, sbaglia però chi pensa che l’Italia stia per diventare un’altra Grecia. «È inutile confrontare il debito pubblico con il Pil, perché il Pil non è mai servito a ripagare il debito - aggiunge Fortis -; il vero raffronto è con la ricchezza familiare netta delle famiglie. Così il quadro cambia drasticamente: si passa dal 116% al 65%». E se si considera il debito aggregato (pubblico più privato) i dati sono ancora più confortanti per il nostro Paese: «Il grado di copertura, sempre paragonandolo alle ricchezze familiari, è pari a 2,6, stabile da un decennio, mentre in Gran Bretagna è passato dal 3,4 al 2,2. E negli Usa è andata anche peggio». Per intenderci: il patrimonio degli italiani è due volte e mezzo superiore al totale dei debiti del Paese.


E, dunque, quando si parla di riforme è sbagliato tentare di imitare la Germania. La soluzione c’è già e, in fondo, è semplice: occorre rafforzare il suo «quarto capitalismo», ovvero le imprese medio-grandi e medie orientate all’export. Parola di Fortis.

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