Gli americani e l'ottimismo. Hai voglia a buttarci sopra secchiate di cinismo e disincanto all'europea: loro tirano diritto. È forse per questo che - ogni volta, immancabilmente - le più varie previsioni su di loro, da queste parte dell'oceano, si infrangono contro la realtà dei fatti. Gli americani sono quelli che si ripetono cose tipo questa: «I codardi non partirono nemmeno, i deboli morirono lungo la strada, solo i forti arrivarono fino in fondo. Erano i pionieri». Retorica? Forse sì. Ma intanto. Intanto un americano come Christopher Reeve, con altre parole, ha fatto la sua cavalcata verso la frontiera. Anche se proprio alla caduta da un cavallo, nel 1995, dovette il proprio dramma personale: la paralisi totale del proprio corpo, la schiavitù della carrozzella prima, la morte poi (nel 2004). La sua particolare vittoria, postuma e quindi ancora più struggente, è il cartoon in uscita oggi nelle sale italiane (in 150 copie distribuite da Medusa): Piccolo grande eroe, un lungometraggio animato di cui l'ex, indimenticabile Superman è stato, fino a quando ha potuto, regista e produttore esecutivo. Il suo è, quindi, un vero e proprio testamento spirituale e - per la sua storia dipinta con i colori netti dell'ottimismo, della tenacia e della sfida a viso aperto contro le insidie della vita - un riflesso in favola della sua vicenda personale. Il film, proseguito dalla moglie Dana (anche lei produttrice esecutiva, anche lei morta a due anni di distanza dal marito) e dai due registi Dan St. Pierre e Colin Brady, è la storia, ambientata negli anni difficili della Grande depressione, di un ragazzino di dieci anni di nome Yankee Irving, grande appassionato di baseball (ma non molto bravo a giocarlo), deciso ad aiutare senza esitazioni il giocatore del cuore, il battitore degli Yankee Babe Ruth e i suoi compagni di squadra.
Ruth è stato derubato della propria inseparabile e logorroica (perché nella storia gli oggetti hanno un'anima e parlano) mazza, il cui nome è Darlin' (la voce Usa è di Whoopi Goldberg), e senza di essa non può affrontare la sfida delle sfide: quella della finale del campionato del 1932. La colpa del furto viene fatta ricadere proprio sul padre di Irving, custode dello stadio degli Yankees. Che viene licenziato. Così Irving, in compagnia della mascolina amica del cuore Marty e di una nuova conoscenza, la scorbutica palla da baseball Screwie, parte per una ricerca attraverso tutta la nazione, in una corsa contro il tempo: a muoverlo, un forte senso di giustizia, la voglia di dimostrare la propria ammirazione e amicizia per il proprio campione preferito e una sete, per l'appunto «pionieristica», d'avventura. Con la volontà, Irving potrà superare qualsiasi ostacolo. Curioso, o forse scritto nel destino, come questa favola giunse al cospetto di Christopher Reeve.
La storia di Yankee Irving e del suo coraggio - raccontata con commovente realismo e sapida ironia - nacque infatti dalla fantasia di Howard Jonas, presidente della casa di produzione del lungometraggio, la Idt Entertainment: «La usavo per far addormentare i miei figli - rivela Jonas -. Ho raccontato loro per anni la storia di Irving. Era una delle loro storie preferite e la cosa che apprezzavo di più era la maniera in cui la famiglia restava unita e come il ragazzino riusciva a superare tutti gli ostacoli, diventando un eroe. Un giorno, ho raccontato la storia ai nostri creativi e si decise di farne un film». La storia venne poi offerta proprio a Christopher Reeve, perché la girasse: qualsiasi resistenza di Reeve cadde quando il figlio Will una sera, messosi a leggerla, non si presentò a cena perché letteralmente ipnotizzato dalla storia.
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