Referendum sul taglio dei posti letto

Antonella Aldrighetti

I cittadini del Lazio chiamati alle urne per dire no al taglio dei posti letto. Perché no? Infatti per mettere fine al fastidioso balletto di cifre sull’entità della scure sulle degenze ospedaliere, sul numero dei posti letto da riconvertire in day-service di assistenza socio-sanitaria e sul tetto, o meglio blocco, delle assunzioni «l’unica strada sarebbe quella di legittimare un referendum abrogativo del provvedimento regionale».
L’annuncio per l’avvio della raccolta di cinquantamila firme, quelle necessarie alla presentazione del giudizio popolare, parte dalla Fials Confsal regionale e arriva l’indomani della divulgazione, pressoché ufficiale, sull’ammontare della manovra finanziaria dei 788milioni di euro. Un tempismo quello sulla proposta referendaria per scalzare ogni illegittimità. Ecco il perché. «La manovra regionale sembra concepita per generare un declassamento degli attuali livelli di assistenza rispetto alle odierne necessità e aspettative di una nazione europea. Per cui - dice il segretario del sindacato autonomo Gianni Romano - dopo aver appreso dopo da notizie di cronaca che l’assessore alla Sanità Augusto Battaglia avrebbe detto di aver stilato il piano di riordino della rete ospedaliera con la collaborazione dei sindacati, riteniamo opportuno smentire che non ci saremmo mai sognati di dare assenso a un programma che riteniamo doveroso contrastare con tutti i mezzi legali a nostra disposizione. Il referendum è uno di questi. Abbiamo già specificato che non ci piace l’idea di convertire gli ospedali in cronicari d’élite, in box di prima medicina e chiudere i nosocomi nei week-end come previsto dal Documento di programmazione economica e finanziaria 2007/2009 e dalla Bozza del programma di riordino».
L’aspetto più inquietante della manovra fiscale riguarderebbe i capitoli sui quali andrà a pesare l’impatto dei tagli finanziari. Dal cosiddetto consolidato dell’assessorato alla Sanità si andrebbe a incidere sui costi del personale che passa da 2.802 milioni di euro a 2.759, sulla spesa in servizi sanitari da 4.949 a 4.755, sulla spesa in beni da 2.802 a 2.759 e sulla farmaceutica che, per dovere di correzione rispetto agli standard nazionali, dovrebbe passare da 1.550 milioni a 1.383. Peccato che in questo «quadretto al risparmio» aumentano invece gli oneri di gestione di poco più di un milione di euro: da 112 a 113. E forti critiche sulla manovra laziale arrivano pure dall’agone politico contando che «l’ammontare dei 788 milioni è una cifra irrisoria e che non dà alcuna garanzia a ciò che vorrebbe far credere la giunta Marrazzo, ossia che il deficit potrebbe essere azzerato nel 2007», taglia corto il vicepresidente della commissione Sanità del Senato Cesare Cursi (An). Ma sul balletto di cifre che interessa il taglio dei posti letto l’ex sottosegretario alla Sanità esprime profonda contrarietà perché tra le cosiddette degenze ordinarie «devono essere trattate con un’attenzione particolare le patologie oncologiche. Un occhio di riguardo deve essere posto pure sulle eventuali riconversioni delle strutture più piccole che insistono sulla provincia romana. Sono fondamentali per l’utenza e non possono essere trasformate in hospice o ambulatori».

A queste preoccupazioni l’esponente di An aggiunge pure quella del blocco al turn-over del personale sanitario contando che «nel 2007 sono in previsione un numero consistente di pensionamenti». Un motivo in più per avallare le dicerie sulla demagogia che anima le promesse della maggioranza ulivista sulla sanatoria dei precari.

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