Referendum sulla Carta Ue: rivincita del sì in Lussemburgo

Il premier Juncker: Se avesse vinto il no, mi sarei dimesso

Alberto Toscano

da Parigi

Il sì lussemburghese di ieri è una boccata d’ossigeno per l’Europa anche se non basta a regalare una nuova giovinezza al Trattato costituzionale comunitario. Dopo tanto pessimismo, tante proteste e tanta euro-insoddisfazione, ecco finalmente un piccolo segnale in senso contrario : il 56,52 per cento degli elettori del Granducato ha detto sì alla ratifica del trattato che venne firmato lo scorso 29 ottobre a Roma. Certo le proporzioni del corpo elettorale lussemburghese non sono sterminate (223mila aventi diritto al voto), ma la situazione di crisi in ambito comunitario era tanto intricata - dopo il no scaturito dai referendum in Francia e Olanda - che ogni schiarita nel cielo europeo riesce davvero a fare notizia.
Il presidente della Commissione comunitaria, il portoghese José-Manuel Durao Barroso, e il cancelliere tedesco Gerhard Schröder hanno immediatamente reso omaggio al successo del sì in occasione del referendum nel Granducato. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato un messaggio in cui afferma che «tutti gli Stati membri e le istituzioni europee sono chiamati a operare affinché l’Europa, dotata di istituzioni e di risorse adeguate, possa soddisfare le attese dei cittadini, rassicurandoli sul loro futuro di pace e di benessere».
Vero protagonista del successo del sì di ieri è il primo ministro lussemburghese Jean-Claude Juncker, che si è completamente investito in questa battaglia quando è stato chiaro che i contraccolpi del voto francese del 29 maggio scorso avrebbero potuto causare una reazione a catena di sfiducia verso il processo d’integrazione comunitaria. In campagna elettorale i leader francesi del no, come l’“antimondialista” José Bové e il leader della sinistra socialista Henri Emmanuelli, hanno cercato d’influenzare in tutti i modi l’elettorato del Granducato. E Juncker, che è popolarissimo tra i suoi connazionali, ha contrattaccato drammatizzando lo scontro sul Trattato Ue con un annuncio: «Se vince il no, mi dimetto!».
Gli esponenti francesi favorevoli al Trattato hanno reso omaggio ieri sera al comportamento di Juncker, che ispira - a loro avviso - fiducia per l’avvenire europeo. «Juncker - ha detto il presidente dell’Union pour la Démocratie française, François Bayrou - ha spinto la propria determinazione fino a mettere il suo mandato in gioco: è questo tipo di determinazione che ha consentito al popolo lussemburghese di valutare adeguatamente la questione posta». Implicita e al tempo stesso trasparente è la polemica del liberale Bayrou nei confronti del presidente francese Jacques Chirac, che si è ben guardato dal mettere il proprio mandato in gioco nel decidere di ratificare il Trattato per via referendaria anziché per via parlamentare.
Per capire l’importanza di questo sì occorre immaginare lo scenario opposto. L’ipotetico, davvero improbabile, successo del no avrebbe suonato la campana a morto sul testo del Trattato costituzionale. Un terzo referendum negativo di seguito - per di più in un Paese che è sempre stato europeista e che deve moltissimo all’integrazione comunitaria - avrebbe ridicolizzato qualsiasi discorso sulla resurrezione del testo costituzionale. Così quel testo resta in coma, ma non è completamente escluso che si tratti di coma reversibile. Col sì lussemburghese sono 13 su 25 (di cui due per via referendaria, visto che la Spagna ha votato lo scorso febbraio) i Paesi ad aver ratificato il trattato. Due (appunto Francia e Olanda) hanno detto. Otto sono quelli che hanno rinviato le loro ratifiche senza fissare alcuna data precisa e due sono quelli orientati ad andare avanti senza particolari modifiche al loro tranquillo calendario.
Considerati anche i risultati del vertice europeo di metà giugno, è chiaro che ogni discorso sull’avvenire del Trattato è rinviata al 2007, anno fondamentale soprattutto a causa delle elezioni francesi.

Sarà il prossimo inquilino dell’Eliseo a decidere se chiamare nuovamente i suoi connazionali a esprimersi su una Costituzione che essi stessi hanno bocciato una prima volta. Chirac non ha - neppure lontanamente - la forza politica per compiere una mossa del genere. Per il suo successore si vedrà.

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