Regione, giro di vite sui phone center

Marcello Chirico

Ufficialmente è una nuova norma commerciale, con risvolti urbanistici. Di fatto è una legge che strizza l’occhio - e parecchio - alla sicurezza, considerando che il suo obbiettivo trasversale è soprattutto quello di ridimensionare (e di parecchio) la proliferazione dei phone-center gestiti prevalentemente da immigrati, aperti tutti i giorni 24 ore non-stop, frequentati spesso da irregolari, e, in un passato abbastanza recente, utilizzati pure da fiancheggiatori del terrorismo internazionale (in particolare, di matrice islamica) per contatti telefonici o via internet con l’estero. Adesso la Regione ha deciso di intervenire sull’argomento in maniera diretta con l’intenzione di limitarne drasticamente il numero, ponendo dei paletti molto rigidi all’apertura di nuovi o alla sopravvivenza di quelli esistenti.
L’iniziativa è partita dall’assessorato regionale al commercio, e in prima persona dall’assessore azzurro Franco Nicoli Cristiani, ma per poter essere attuata ha dovuto utilizzare il contributo sinergico dell’assessorato all’urbanistica, che l’assessore leghista Davide Boni è stato più che contento di dare. Questo perché, spiega a Il Giornale lo stesso Boni «una regola si impone, e non può essere quella del Far West».
La nuova regola di cui sopra è stata inserita nel nuovo testo unico regionale sull’urbanistica che il consiglio dovrebbe approvare già entro la fine dell’anno o, al più tardi, nelle prime settimane d’attività del 2006. Essa prevede che, con l’entrata in vigore della nuova legge, i phone-center (nuovi e vecchi) possano essere inseriti all’interno dei Piani Regolatori comunali soltanto se soddisfano alcune richieste-base. Per esempio: la presenza di parcheggi nei pressi dell’esercizio, così come servizi sanitari a norma di legge all’interno (e talvolta del tutto inesistenti), l’abbattimento delle barriere per favorire i portatori di handicap, la distanza da un esercizio analogo della zona (attualmente se ne trovano più di uno nel medesimo quartiere). Mancando questi requisiti non potranno essere aperti nuovi punti di telefonia e, quelli esistenti, dovranno chiudere. Inoltre, se è provvisto pure di un internet-point, dovrà registrare obbligatoriamente i dati anagrafici dei navigatori. Né più né meno le regole valide per l’apertura di un qualsiasi negozio. Norme a cui i phone-center potevano sottrarsi giocando sul fatto che, in Italia, la telefonia è libera e in questo modo, chiunque si procurava una licenza commerciale, poteva aprire un «negozio» di questo tipo e gestirlo come meglio credeva. Senza controlli di alcun tipo su chi li frequentava.
«In giro per la Lombardia questi phone-center gestiti da immigrati pullulano - denuncia l’assessore Nicoli, principale promotore dell’iniziativa -, è necessario mettere un limite al caos. Abbiamo provveduto così a studiare una normativa specifica, per altro richiestaci da tante amministrazioni comunali proprio perché non sapevano come muoversi in quest’ambito. Colgo l’occasione per ringraziare i tecnici dei miei uffici riusciti ad elaborare un articolo di legge costituzionalmente corretto su una materia così delicata».


E Boni ne approfitta per tirare una stoccata elettorale all’ex prefetto milanese: «Quel necessario repulisti che avrebbe dovuto operare Ferrante lo farà ora la Regione. I Comuni saranno infatti costretti ad operare controlli più severi: chi sarà in regola non rischia nulla, tutti gli altri chiuderanno o non apriranno del tutto».

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