Le regole truccate fanno comodo solo al Professore

Le regole truccate fanno comodo solo al Professore

Massimo Introvigne

Ho visto il (presunto) dibattito televisivo tra Berlusconi e Prodi con l’occhio di chi sta tenendo ai suoi studenti un corso di sociologia della comunicazione. Da questo punto di vista, si tratta di un esempio da manuale di falso dibattito con regole truccate per impedire la comunicazione. Secondo l’autorevole trattato di micro-sociologia di Randall Collins ogni tipo di comunicazione assomiglia a un rituale.
Dal salutarsi al conversare prendendo un caffè la vita è piena di rituali, che non ci rendiamo conto di compiere, proprio come il borghese di Molière non si rendeva conto di stare facendo della prosa ogni volta che parlava (dal momento che non parlava in poesia). I rituali riusciti creano energia emotiva e una «effervescenza collettiva», quelli falliti la sottraggono ai partecipanti. Ora, chi dice rituale dice regola. La differenza fra una manifestazione caotica in cui ciascuno esprime le proprie emozioni come vuole e un rituale sta precisamente nel fatto che il rituale segue regole precise. Queste regole però non hanno lo scopo di smorzare o rimuovere l’energia emotiva che il rituale crea, ma al contrario di fare sì che il rituale «riesca», la comunicazione nasca e «l’effervescenza collettiva» si diffonda.
I rituali di comunicazione riusciti hanno sempre lo stesso effetto. Creano, confermano e rafforzano le gerarchie, che (piaccia o no) sono onnipresenti in ogni tipo di società umana. La sociologia distingue fra gerarchie situazionali e strutturali. Le gerarchie strutturali corrispondono a rapporti permanenti: fra ricchi e poveri, dirigenti e subordinati, professori universitari e «laici» che non hanno competenze accademiche, e così via. Le gerarchie situazionali, più sottili ma non meno importanti, nascono dai rituali dell’interazione sociale quotidiana in cui qualcuno si mette in luce e diventa il centro di una conversazione o di una discussione, mentre altri fanno brutta figura o «fanno tappezzeria»; in un dibattito qualcuno è considerato simpatico e brillante e qualcun altro noioso. Nell’esempio di Randall Collins, il secondo può essere il docente universitario ultra-qualificato ma noioso, ma la sua teorica preminenza gerarchica strutturale è in pratica rovesciata dalla gerarchia situazionale: sarà pure il primo della classe, ma chi assiste al dibattito lo considera più un rompiscatole che un capo.
Le osservazioni di Collins sembrano scritte apposta per descrivere il dibattito Prodi-Berlusconi, che è il tipico confronto fra un professore secchione e saccente e un uomo politico brillante capace al massimo grado (qualunque cosa si pensi delle sue idee) di creare «effervescenza collettiva». Se le regole del rituale chiamato dibattito fossero delle regole che mirano a che il dibattito «riesca» (cioè coinvolga ed emozioni i partecipanti) non ci sarebbe partita e Berlusconi stravincerebbe. Qualcuno deve averlo scoperto in anticipo, e sono state quindi create «regole» fasulle che miravano non a coinvolgere il pubblico ma ad addormentarlo impedendo il confronto diretto, lo scontro, la gestualità, tutto quanto cioè crea comunicazione ed energia emotiva.

Sarebbe come se in una partita di calcio ogni squadra dovesse giocare da sola in parallelo con l’altra, e fossero vietati non solo i falli ma anche le entrate e i tentativi di portare via la palla all’avversario. Queste non sono regole, ma tentativi perfettamente riusciti di impedire la comunicazione. Faranno comodo a Prodi, ma più che regole sono trappole e imbrogli.

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