Relazione su Facebook, i parenti di lei uccidono l’amante

Un tradimento nato su Facebook. Una donna sposata che si innamora di un giovane e comincia una relazione proibita. Ma qui siamo in terra di ’ndrangheta e le cose si fanno più complicate. Di mezzo spunta un cadavere. E Simona Napoli, 24 anni, denuncia padre e fratello per l’uccisione del suo «amante» e vive ora sotto scorta.
È una storia di passione, gelosia, mafia quella che ha come teatro Gioia Tauro, Calabria. Simona è sposata ma conosce su Facebook Fabrizio Pioli, un elettrauto di 38 anni. Tra i due comincia una relazione, ma il 23 febbraio scorso accade qualcosa che cambia tutto per sempre. Fabrizio scompare nel nulla, a bordo della sua auto, una Mini One nera. E chi aiuta a risolvere il giallo? È proprio Simona, che però accusa padre e fratello. La giovane racconta di avere visto il suo innamorato litigare animatamente col padre che in mano aveva una pistola. Dichiarazioni che hanno dato il via ad accertamenti e intercettazioni e che hanno portato all’arresto del fratello Domenico, 22 anni, e alla caccia aperta al padre Antonio, 53, irreperibile dal giorno della scomparsa di Fabrizio. Entrambi sono accusati dell’omicidio e di occultamento di cadavere, praticamente un caso di lupara bianca. Simona, rompendo il suo silenzio, ha reso giustizia alla vittima. Ma ora ha dovuto cambiare vita. È stata posta sotto protezione, in una località top secret, allontanata dunque dal figlio di 4 anni, che è rimasto al fianco del padre. Troppo pericoloso restare nel suo ambiente dopo l’uccisione del giovane di cui si era innamorata ma soprattutto dopo il coraggio della sua denuncia ai familiari.
Il nome di Simona va così ad accostarsi a quello di Lea, Giuseppina e Maria Concetta. Donne calabresi con alle spalle storie diverse ma con un tratto comune: la violenza in cui state costrette a vivere di riflesso per il loro ambiente familiare. Tre di loro, adesso, hanno un’altra peculiarità in comune, vivere sotto protezione dopo avere accusato i propri familiari dei reati più vari. Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola, invece, non ce l’hanno fatta. Sono rimaste vittime delle loro denunce.

La prima uccisa e sciolta nell’acido dall’ex convivente (attirata in una trappola con la scusa di vedere la figlia), e la seconda suicida per le pressioni subite (aveva rinunciato alla protezione per poter rivedere o figli) e ancora Giuseppina Pesce, figlia del boss di ’ndrangheta Salvatore, che da quando ha deciso di denunciare i malaffari dei suoi è costretta a vivere lontano dai suoi tre ragazzi.

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