Rendere intoccabile il Risorgimento fa torto alla storia

Dott. Granzotto, non so lei, ma io ormai dispero che le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia diventino l’occasione per una rilettura più seria del Risorgimento. Sabato 22 maggio, per dirne una, sul Corriere della Sera Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella riproponevano pari pari i luoghi comuni sulle cosiddette «stragi di Perugia» del giugno 1859. Forse abbiamo letto libri diversi, ma a me risulta che la maggior parte dei perugini non aderirono a quella rivolta, anzi il consiglio comunale si dimise per protesta contro i rivoltosi e per fedeltà al Papa; che la ribellione fu fomentata da 900 «volontari» mandati dai piemontesi; che il colonnello Schmidt, comandante degli svizzeri pontifici, cercò in tutti i modi di evitare gli scontri; che i coraggiosi capi della rivolta se la diedero a gambe lasciando i cecchini a sparare dalle case private, costringendo i soldati pontifici a dare loro la caccia; che in tali condizioni era inevitabile che ci scappasse il morto; che, comunque, fra i perugini i morti furono 25 (e non centinaia come qualcuno scrisse) e i feriti 23. Sempre troppi, intendiamoci, ma Rizzo e Stella (e molti altri con loro) dimenticano che vi furono 10 morti e 30 feriti anche fra i pontifici e, soprattutto, che a Torino, nel 1865, fra coloro che protestavano per il trasferimento della capitale i morti furono 52 e i feriti 200, senza parlare dei 100 morti milanesi vittime, nel 1898, dei cannoni di Bava Beccaris, dei siciliani di Bronte e, soprattutto, delle migliaia e migliaia di «briganti» meridionali trucidati dall’esercito «liberatore» e unificatore. Ma al di là dei numeri, dott. Granzotto, io credo, ed è soprattutto su questo che mi piacerebbe conoscere il suo pensiero, che non si arriverà mai a una più onesta interpretazione del Risorgimento se, lasciata da parte la discussione sull’opportunità o meno di un governo temporale dei papi, non si riconoscerà che quello pontificio (come quello borbonico) era un governo legittimo e in quanto tale, in base al diritto delle genti, poteva e doveva difendersi, anche reprimendo rivolte come quella di Perugia.
Chieri (To).

Dispero anch’io, caro Mignozzetti. In principio il clima sembrava favorevole a un seppur prudente esame collettivo di coscienza, ma poi ci si è messo di mezzo l’antileghismo (la Lega è il nuovo e spaventevole babau della sinistra e della sedicente società civile). E siccome per quelle testoline bacate ogni accenno alle ombre dell’epopea risorgimentale si tradurrebbe in un favore a Bossi alimentando il mito e la retorica della Padania, non se ne è fatto niente. E in ogni aspetto, anche marginale, delle celebrazioni del centocinquantenario fa aggio la «vulgata». Ne è un esempio l’articolo da lei citato che riprende pari pari la incerta testimonianza, poi raccolta da un giornalista del New York Times, di una famiglia americana residente a Perugia in quel giugno del 1859 (un po’ come la storia di Guernica: la versione dei fatti alla quale ancor oggi ci si attiene è la narrazione che ne fece un inviato inglese. Non presente, per sua stessa ammissione, nella città spagnola il giorno del bombardamento). Né manca, nella ricostruzione fatta dal Corriere delle «stragi di Perugia», la trombonata del Vate della Terza Italia Giosuè Carducci (33° grado del Rito Scozzese Antico): «Fulmina, Dio, la micidial masnada».

Insomma, al solito: i buoni tutti di qua. i cattivi tutti di là. Monumenti per Bava Beccaris e i suoi cannonieri, fulmini per Antonio Schmidt d’Altorf e la sua micidial masnada. Che noia, caro Mignozzetti, questo conformismo di risulta...

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