da Milano
«La riforma? Nel complesso è utile. Ma contiene anche un elemento di grande preoccupazione, lapplicazione del regime del cosiddetto maturato a tutte le rendite finanziarie». Stefano Micossi, direttore generale di Assonime, lassociazione delle società per azioni italiane, era impegnato ieri in unaudizione alla Commissione finanze della Camera. Tema: la riforma delle tasse sui redditi da capitale. «Lunificazione delle aliquote senza distinzione tra interessi, dividendi e capital gain è una tendenza emersa in tutti le principali economie avanzate», spiega. «Anche un livello della tassazione intorno al 18-20% non ci sembra un problema».
E tuttavia, lei dice, cè qualche cosa che non va.
«Cè un rischio serio: quello di allargare lapplicazione del sistema, infelice, per non dire sciagurato, scelto a suo tempo per i fondi di investimento. Si tassa sul cosiddetto maturato, appunto, e non sul realizzato. Come funziona? In pratica alla fine del periodo di imposta si prende lincremento di valore del patrimonio del fondo e su quello si paga limposta. Se guadagno, anche teoricamente, visto che non ho venduto nulla, pago. Se non guadagno mi viene assegnato un credito di imposta corrispondente al decremento di valore che potrò compensare in futuro. Il risultato è che negli anni i fondi hanno accantonato 5 miliardi di crediti di imposta. Di fatto non ci sono abbastanza occasioni per compensare debiti e crediti. Le conseguenze sono state pessime».
In pratica?
«Il tutto si è tradotto in un danno competitivo per il sistema dei fondi italiani che hanno dovuto segnare un costo in più rispetto ai concorrenti e che hanno visto abbassarsi i loro rendimenti».
Il problema è che ora si vuole allargare il sistema a tutti i risparmiatori.
«Sì. Più o meno cè laccordo di tutti nel far diventare i fondi fiscalmente trasparenti e cioè nel far ricadere limposta su chi possiede le quote. Ma il principio del maturato che sembra favorire la Commissione incaricata di studiare il tema ha conseguenze paradossali. Prendiamo due risparmiatori che investono tutti e due 100 euro. Il primo anno uno guadagna 10 e paga, laltro perde 10 e accantona un credito. Lanno successivo succede il contrario e tutti e due tornano a 100. Ma il primo ha pagato una tassa e laltro no. Le stesse distorsioni che si sono verificate con i fondi si ripeteranno per i risparmiatori. E poi cè un altro elemento».
Quale?
«Io potrei anche non avere i soldi per pagare la tassa. Se sono un fondo immobiliare e possiedo la Torre Velasca e il fisco ritiene che il suo valore sia aumentato, io devo pagare. Ma chi mi dà la liquidità?. E poi, chi stabilisce il valore? Se si tratta di unazione quotata è facile, ma in molti casi no».
La vostra proposta?
«Mantenere diversi i regimi di tassazione, quello dei fondi e quello per i risparmiatori».
Un altro punto delicato è quello dei dividendi.
«Il problema riguarda le partecipazioni non qualificate, in pratica quelle che i piccoli risparmiatori possono comprare in Borsa. Anche in questo caso laliquota sarebbe al 20%, ma sugli utili dellimpresa le tasse sono già state pagate. Lulteriore tassa porterebbe limposizione totale al 46%. Il rischio è quello di disincentivare linvestimento azionario. Noi proponiamo di salvare lunitarietà dellaliquota, riducendo però la base imponibile al 40%, che corrisponde a unaliquota effettiva del 20».
Per i titoli di Stato il problema è se tassare con le nuove aliquote solo quelli di nuova emissione o colpire anche i vecchi.
«Nel 1986, quando si passò dal 6,25 al 12,5% si tassarono solo i nuovi.
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