Nel «ventre molle d'Europa», quel soft underbelly del Sud d'Italia che - secondo l' Economist - è una palla al piede della crescita ben peggiore persino della Grecia, le cose vanno piuttosto male per il Pd.
Con le ultime elezioni regionali il partito di Matteo Renzi ha conquistato l'intero Meridione, mettendo dunque le mani su un granaio di voti che può essere decisivo alle Politiche: ha preso prima la Calabria poi la Campania, confermando la Puglia e aggiungendole alla Sicilia. Ma in tutte e quattro le regioni Renzi controlla politicamente poco o nulla. La Sicilia è nel caos, con il governatore Crocetta - sepolto dai debiti e dalle defezioni dalla sua giunta - che si scaglia contro il Pd e che dal Pd viene processato. Con i renziani schierati per «staccargli la spina» e andare a un voto anticipato che Palazzo Chigi invece non vuole. La Calabria, dove i renziani non avevano toccato palla, si ritrova con la giunta regionale, tutta affiliata alla vecchia Ditta bersanian-bindiana, praticamente in manette dopo la retata della procura di Reggio Calabria. Nonostante la strana amnesia di Rosy Bindi - guarda caso eletta in Calabria - che alla vigilia di quel voto non ritenne (nonostante gli avvertimenti del procuratore, venuto in persona alla commissione Antimafia) di mettere insieme una «lista degli impresentabili». E in Puglia e Campania i due governatori hanno entrambi i propri guai e si muovono in autonomia, senza risparmiare colpi al governo.
Michele Emiliano, contestato per la nomina a portavoce della compagna, segue una linea politica tutta sua, tentando di fare intese politiche coi Cinque Stelle e proponendosi come leader della sinistra populista, con l'obiettivo di scalzare gli incolori bersaniani alla Speranza e di mettersi alla testa della fronda anti-Renzi, per competere direttamente col premier alle future primarie. L'uomo, si sa, non è privo di una certa megalomania.
Quanto a Vincenzo De Luca, ieri il suo legale, il giurista napoletano Giuseppe Abbamonte, ha rimproverato al premier di non essere stato abbastanza «cauto» nel firmare un decreto di sospensione che avrebbe potuto «destabilizzare il circuito democratico». In verità però i contrasti tra il governatore della Campania e il capo del governo sono molto minori di quanto accreditino i retroscena: la complicatissima partita della sospensione è stata gestita di comune accordo, e De Luca era contrario quanto se non più di Renzi ad una norma interpretativa ad personam sulla Severino per varare la giunta prima di essere sospeso. Sta di fatto però che per il futuro Palazzo Chigi dovrà fare i conti con un interlocutore poco malleabile, che ha tutte le intenzioni di non essere scavalcato in partite importanti come quella del Comune di Napoli, che tra un anno andrà al voto. E nel governo si nutre qualche timore su un possibile asse con De Magistris, che il sindaco sta tentando di costruire per ricandidarsi grazie all'appoggio di De Luca.
In Sicilia ieri lo scontro tra Crocetta e l'ala renziana del Pd locale, capeggiata dal sottosegretario Faraone, che ambirebbe a candidarsi alla guida della Regione, è arrivato all'apice, in una infuocata direzione regionale. In cui il governatore, con notevole vena melodrammatica, ha praticamente accusato un pezzo del suo partito di volerlo far fuori per la sua dichiarata omosessualità: «Se Clinton fosse stato gay, si sarebbe salvato? Io sono una vittima, anche nel mio partito c'era chi voleva allontanarmi», ha tuonato.
Per poi avvertire: «Se il partito me lo chiede, mi dimetto: potrei essere il celebrante al mio funerale. Ma sarebbe irresponsabile andare ora ad elezioni anticipate, dobbiamo salvare la Sicilia dal default». Che possa essere lui a farlo, però, è dura da credere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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