Egidio Sterpa
Diciamolo: limmagine che ha oggi la nostra Repubblica non fa ben sperare per il futuro. Nessun allarmismo, ma così è. Da quasi tre lustri si dice e si scrive che siamo alla Seconda Repubblica. In realtà è ancora la Prima, resa piuttosto malconcia da vicende politiche e giudiziarie. Il nome di Seconda è stato inventato da un ceto politico interessato a prendere le distanze dal passato e a cercare spazi nuovi per le proprie aspirazioni. Si è fatto ricorso a espressioni mutuate dalla storia francese, dove la classificazione con numeri delle varie fasi repubblicane è dovuta a successive vere modifiche costituzionali. Da noi di discontinuità costituzionali, almeno finora, non si può proprio parlare. È il futuro chè unincognita.
Proviamo intanto a capire qualcosa di quel che sta capitando dopo il voto del 9 e 10 aprile. Innegabilmente qualcosa di diverso dal passato cè: per prima, la precarietà della maggioranza, che fatalmente sarà soggetta al sopraggiungere di eventi incontrollabili. Per governare occorre legiferare. Come sarà possibile è il vero enigma. Alla Camera sarà più facile perché i numeri ci sono, ma al Senato qualche raffreddore o una pipì urgente potrebbe provocare collassi.
Lottimismo di Prodi («faremo un governo che durerà cinque anni») è solo una battuta speranzosa. Lo si è visto nelle votazioni per i presidenti della Camera, dove è accaduto di tutto nello stretto spazio di meno di quarantottore: ricatti, questioni onomastiche (quei «franceschi» al Senato), voti a sorpresa (quelle decine di schede dedicate a DAlema alla Camera), insomma voti di scambio e avvertimenti. Al Senato particolarmente il soccorso dei senatori a vita e di quelli esteri ha permesso una maggioranza più tecnica che politica. Come guidare il Paese in simili condizioni?
Il fatto più rilevante è certamente lassegnazione della seconda e terza carica dello Stato a due ex sindacalisti. Constatarlo non significa sminuire le personalità insediate ai vertici del Parlamento. Sia Marini che Bertinotti sono persone serie e rispettabili, ma non cè dubbio che essi rappresentano particolari realtà della società italiana. Marini ha voluto non a caso dare segnali «bipartisan», ma Bertinotti ha tenuto a dedicare la carica conquistata al mondo operaio. Né si può non dare importanza - lo ha rilevato ieri in un editoriale su Il Sole 24 Ore il direttore Ferruccio De Bortoli - al fatto incontestabile che buona parte della nuova maggioranza politica è lontana dalla cultura di mercato.
Se dovesse salire al Quirinale un personaggio fortemente connotato della sinistra, come la sinistra del resto chiede, avremmo decisamente una Repubblica questa volta sì assai diversa dalla Prima e dalla presunta Seconda. Lo avremo chiaro nel giro di qualche settimana. E qui un ruolo di gran peso potrebbe averlo lattuale capo dello Stato, al quale certamente non sfugge la serietà della situazione. Il suo alto senso di responsabilità istituzionale si misurerà in due momenti: quando (tempo e modo) darà il nuovo incarico di governo, e quando deciderà labbandono del Quirinale. Per il rispetto che, da liberali, abbiamo per il capo dello Stato, ci asteniamo da altre osservazioni in proposito, ma ci si lasci sperare che in Ciampi ci sia il massimo di coscienza istituzionale, e che parti politiche, dal canto loro, evitino inopportune e indebite pressioni.
Va fatta unultima e non meno importante considerazione. A rendere preoccupante la situazione politica sono anche altri elementi incontrollabili. Per esempio, la possibile transumanza dietro il carro del vincitore. Un vizio mai venuto meno nel ceto politico. Silone, agli albori della Repubblica, lo definì icasticamente «mercato delle vacche». Qualche segnale cè già.
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