Politica

«Repubblica» fa flop: chi la legge non la segue

PORTA SFORTUNA La truppa di Ezio Mauro aveva puntato sul segretario uscente: alle primarie è stato un tracollo

RomaCredete che adesso facciano autocritica, come ci si aspettava un tempo dai compagni che sbagliano, insomma che ammettano di aver sbagliato e perso? Oppure che vadano esuli tra i pinguini dell’Antartide, nell’unica circoscrizione dove hanno vinto?
Non parliamo di Dario Franceschini e Piero Fassino ovviamente, che anzi hanno accolto l’esito con dignità e senza arrampicarsi sui vetri, anzi dichiarandosi pronti a guardare avanti senza metter bastoni tra le ruote del vincitore. No, parliamo del «partito» Repubblica, che ha scoperto con sorpresa e malcelata stizza che il popolo delle primarie non gli ha dato retta. Anzi, ha ignorato clamorosamente le indicazioni e la linea politica dettata dai guru e dai maestrini dalla penna rossa che martellano sulle pagine del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Ezio Mauro. Una doccia gelata. Quelli insistevano per la linea dura contro il Cavaliere nero, guerra totale senza se e senza ma, viva la santa alleanza con Tonino Di Pietro, e gli elettori del Pd si son dichiarati in schiacciante maggioranza per Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani, i più insofferenti e disobbedienti, quelli che vogliono cambiar musica nel confronto politico, le bestie nere del quotidiano guida.
Una débâcle pesante da digerire, uno shock culturale ancor prima che politico. Dopo tre giorni non c’è ancora traccia di ammissione o pentimento nelle pagine di Repubblica. Gli altri giornalisti, quelli meno amati da Walter Veltroni, son lì a salutare Bersani come il nuovo Lenin appena sceso dal vagone piombato tedesco a galvanizzar le masse proletarie, e quelli ancora ieri sottolineavano che Franceschini «appare il più “trasversale” dal punto di vista della distribuzione territoriale dei consensi». Il dato più importante per Repubblica non è che il Pd ha finalmente un segretario in piena legittimità di nome Bersani, ma che ha «scoperto» di poter «ancora contare su una base enorme». La partecipazione di «quasi tre milioni» di elettori alle primarie (sugli 8 milioni che han votato Pd alle Europee) è «un’avvertenza utile. Forse l’ultima».
Il tono è quello di chi se la prende col popolo perché non gli dà retta e va per conto suo, premiando il candidato sbagliato che ora va ammonito: attento a come ti muovi perché questa è «forse l’ultima» chance per te e ancor più per il popolo della sinistra. La pulsione all’ammaestramento non si placa nemmeno dopo una così cocente stangata, e li porta a dimenticare quel che auspicava e scriveva Scalfari ancora appena domenica scorsa, incitando tutti i giustizialisti e i crociati non solo tra i votanti del Pd ma nell’intera Opposizione - con la O maiuscola, consacrava il nume - ad andare alle primarie come fossero il viatico per Armageddon. Sentiva «parlare di sondaggi» che prevedevano un milione, massimo due di votanti, Scalfari, secondo lui del tutto insufficienti. «Ce ne vogliono almeno tre milioni», esortava. Sono andati in tre milioni, ma han votato per Bersani che archivia il veltronismo, vuole allearsi con Casini e Vendola, e considera Di Pietro una «seconda scelta».
E il «lodo Scalfari», distillato come l’ultimo e più creativo contributo alle magnifiche sorti e progressive? Con sano disprezzo per la democrazia, formale e sostanziale, avevano proposto di cambiar le regole quando i tre candidati erano quasi a fine corsa. Pensando che Franceschini avrebbe prevalso per poco, ma comunque sotto il 50%, eccoti la bella pensata di tagliar fuori Ignazio Marino: oh, un altro Ghino di Tacco?, alle ortiche lo statuto! Uno scorno peggiore non potevano subirlo: Bersani viaggia tranquillo sopra il 53%. E a Repubblica la parola «lodo» è ora tabù, vedrai che useranno un sinonimo anche per il Lodo Alfano e quello Mondadori.
La verità? Ha vinto D’Alema, l’unico a sinistra che non ha mai accettato di farsi dare la linea dai giornalisti. Come ai bei tempi, quando era il Bottegone che pilotava le cinghie di trasmissione anche in tipografia.

Repubblica deve farsene una ragione: chi la legge, non la segue.

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