La Repubblica fondata sulle auto blu

Mi hanno detto che la signora Irene Pivetti è titolare del diritto a vita di avere l’auto blu. Mi sembra che tale auto sia stata anche modificata per permettere alle carrozzine di entrarvi. Mi dà conferma che il fatto è vero, dottor Grazotto? E mi chiedo fino a quando certi privilegi? L’auto blu dovrebbe coprire solo il tempo di lavoro parlamentare come avviene per il Presidente della Camera; nell’esercito la figura dell’attendente è stata tolta da un pezzo.



Sì, è così, caro Conti. Irene Pivetti fu presidente della Camera dal ’94 al ’96. Aveva trentun’anni quando le circostanze l’obbligarono a lasciare l’incarico. Da allora, come tutti i suoi predecessori si avvantaggia – e se ne avvantaggerà per tutto il resto della vita, che noi le auguriamo lunghissima e felice - dei rilevanti tornaconti che si usa concedere agli ex di rango. Nella fattispecie, auto blu con autista a disposizione ventiquattrore su ventiquattro per qualsivoglia tratta e per 365 giorni all’anno. Oltre a ciò un ufficio perfettamente attrezzato e fornito d’ogni moderna diavoleria, un assistente e due segretarie. Il titolare della sultanesca regalia può naturalmente chiedere una macchina (blu) che si adatti alle sue esigenze e così fece Irene Pivetti una volta diventata mamma: reclamò, ottenendolo, un modello che potesse comodamente alloggiare il passeggino e altri marchingegni per l’infanzia. Andò peggio al caro Oscar Luigi Scalfaro: forte della sua doppia condizione di ex - ex presidente della Camera ed ex capo dello Stato - ne sollecitò due, di auto blu. Forse facendogli presente che non gli sarebbe stato possibile depositare il solenne popò su entrambe contemporaneamente, quella volta l’ufficio apposito rispose picche.
Secondo il ministero del Tesoro risultano in servizio – e quindi pagate da noi contribuenti – almeno 200mila auto blu. Che nella migliore delle ipotesi e senza considerare gli straordinari significa 600 autisti. Solo il Quirinale ne ha in garage una quarantina mentre alla Casa Bianca, che non è esattamente un Quirinale del Terzo mondo, le auto di servizio si riducono a cinque, a disposizione solo per il percorso casa-ufficio e viceversa. Non è ammessa nemmeno la deviazione per andare a prendere il figlio a scuola. Da noi, l’auto è ad personam e ad libitum, il titolare ci può fare quello che vuole e dove vuole, di giorno come di notte, per motivi istituzionali, per svago o per diporto: fornita di tutti i contrassegni richiesti, sfreccia allegramente nelle corsie preferenziali, parcheggia dove non sarebbe lecito e – per motivi di sicurezza, mi raccomando – non tiene in gran conto dei limiti di velocità. Una pacchia. In quanto poi al servizio di chauffeur a vita, ossia finché morte non sopraggiunga, ha pratica solo in Italia (dove fra l’altro gli ex di rango possono inoltre usufruire – a vita – della flotta aerea di Stato che consente loro di volare a destra e a manca con agi che il passeggero Alitalia non riesce manco a immaginare, nemmeno se si imbottisse di Lsd). Non importa l’età, la durata dell’incarico, l’aver o no ben meritato.

Per fare un esempio, a Tommaso Morlino e Giovanni Malagodi bastò occupare lo scranno più alto del Senato per poche settimane (12 maggio – 11 luglio 1983 il primo, 22 agosto – primo luglio 1987 il secondo) per vedersi attribuiti i servizi di cui sopra. Neanche Jean Bedel Bokassa, imperatore del Centrafrica, giunse a tanto. Noi, ci siamo giunti subito: fatta la Repubblica, fatte le auto blu.
Paolo Granzotto

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica