Repubblichini contro Albertini: «Metti il tricolore»

La condanna di Ignazio La Russa: «Questa protesta è un errore grave»

«Sindaco la fascia, la fascia tricolore. Questi non sono morti di serie B». Cimitero Maggiore, campo 10, quello che raccoglie i caduti della Repubblica sociale. La contestazione che non t’aspetti quando Gabriele Albertini raggiunge come ogni anno la tomba di Carlo Borsani, il padre dell’ex assessore regionale trucidato dai partigiani a guerra ormai finita e trascinato per Milano su un carretto dell’immondizia. Sono almeno in trecento, il prete continua a dir messa in latino, Albertini si ferma per un attimo in raccoglimento.
La pacificazione è lontana. E a nulla è servito che, per la prima volta, ad accompagnare il sindaco ci siano due ufficiali degli alpini che, dopo l’8 settembre, hanno combattuto contro i tedeschi. «Un gesto importante? No, se si toglie la fascia - attacca Franco Bianchi, consigliere dell’Unione nazionale caduti della Rsi - declassa i nostri a morti di seconda categoria». «Noi non contestiamo il sindaco - aggiunge Dari Buzzi -, contestiamo il cittadino Albertini. C’era stata tra noi anche una fitta corrispondenza. Gli avevamo detto chiaramente che avremmo accettato una presenza ufficiale, non una visita privata».
«La cerimonia pubblica con i discorsi delle autorità e le corone di fiori - la replica del sindaco - riguarda i martiri della Resistenza, coloro che hanno combattuto per la nostra libertà. In forma diversa, ma altrettanto significativa sul piano dei sentimenti profondi e dei valori che condividiamo, esprimiamo la pietà e il rispetto per i morti. E pure questo deve essere fatto». Il generale Luigi Morena, uno degli ufficiali del Corpo Italiano di Liberazione, non è pentito. «Una delle caratteristiche degli alpini è la semplicità - spiega - e gli alpini hanno un loro motto che portano scritto su uno striscione alle adunate: “Vogliamoci bene”. Questo è il motivo per il quale siamo qui. I morti non hanno colore politico. I nostri ragazzi vanno nelle missioni di pace insieme ai ragazzi tedeschi». Per il presidente della Provincia Filippo Penati, Albertini «bene fa a mantenere distinte le cose». «Se, come privato cittadino sente il bisogno d’andarci, nessun problema, è una sua scelta. Credo, invece, che le istituzioni abbiano il dovere di tenere ben divise le cose. La pietà non deve cancellare la storia e le responsabilità». «Una questione di cattivo gusto», taglia invece corto Tino Casali, vicepresidente dell’Anpi.
Fila via liscia, invece, la commemorazione nel campo della Gloria, quello dei partigiani. Virginio Rognoni, vicepresidente del Csm, invoca una «memoria condivisa a fronte di una storia travagliata». «Con la Liberazione - incalza monsignor Gianfranco Bottoni - furono conquistati quei diritti di cui tutti, da 60 anni, usufruiscono». E ricorda che il rischio «di avere da una parte coloro che credono nella democrazia e dall’altra quelli che non la vogliono» si eviterà solo quando «la democrazia nata dalla Liberazione sarà considerata e voluta come patrimonio di tutto il popolo italiano».


«Prima o poi si dovrà arrivare a una commemorazione che coinvolga tutte le parti - interviene il colonnello di An Ignazio La Russa -. Ma contestare Albertini che è stato il primo, quantomeno come privato, a mettere sullo stesso piano i morti ricordati e quelli dimenticati, mi sembra un errore grave».

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