Residenze sanitarie, la stangata è di casa

Residenze sanitarie, la stangata è di casa

Quando avere una casa di proprietà significa correre il rischio di finire sul lastrico. Una contraddizione apparente che però diventa un pericolo reale quando quella casa diventa sinonimo per la pubblica amministrazione di reddito patrimoniale tanto da andare a incrementare a dismisura la capacità contributiva.
Senza andare troppo per il sottile stiamo parlando del rischio per migliaia di famiglie con un anziano non autosufficiente ricoverato in una residenza sanitaria, percettore di pensione minima e intestatario di casa, di essere costrette a sacrifici enormi per pagare la degenza. Cifre che vanno oltre le loro capacità finanziarie. Già, perché la giunta Marrazzo ha deciso che a contribuire al risanamento della sanità regionale saranno pure i nonnetti allettati ai quali verrà chiesto, se l’equivalente di reddito supera i 13mila euro annui di versare mensilmente il 40 per cento di 1700 euro (che è la retta mensile in una Rsa). E si fa presto a superare il tetto quando si possiede una casa di proprietà. Infatti quella casa pure se è una «prima casa» per la giunta regionale produce reddito e alza la capacità contributiva.
Così preoccupazione si aggiunge a preoccupazione per quei familiari già costretti a convivere con il dolore di avere un papà o un nonno non più autosufficiente, e che ora devono anche fare i conti con lo spettro di vedere l’abitazione (spesso frutto di una vita di sacrifici) ipotecata e messa all’asta per insolvenza. Già perché stanno fioccando dall’inizio del mese di dicembre - poiché il provvedimento vessatorio è entrato in vigore a giugno - i primi decreti ingiuntivi che richiedono alle famiglie dei ricoverati l’integrazione alle rette base. A questo punto non è chiaro come finirà perché la dietro la gravità estemporanea della questione ci potrebbe esserne una più grave: «Diminuire i posti letto di lungodegenza ospedaliera, forniti ai pazienti a titolo gratuito, e trasferire i pazienti stessi in posti letto in residenzialità sanitaria assistita: un servizio parzialmente a carico degli assistiti per il quale l’esecutivo regionale ha aumentato e in molti casi addirittura raddoppiato la retta».
A lanciare l’allarme è Stefano De Lillo (Forza Italia), vicepresidente della commissione Sanità della Pisana, che denuncia l’amara novità per decine di migliaia di famiglie del Lazio. Perché «inserendo la prima casa nel calcolo del reddito da denunciare col modello Isee, molte persone che percepiscono pensione minima, per esempio di 800 euro al mese, fino ad oggi avrebbero avuto diritto al servizio di Rsa a titolo gratuito ma, con l’elevazione del reddito derivante dal conteggio della prima casa arrivano a pagare fino a 1800 euro di retta, cioè 1000 euro più dell’entrata percepita. È un assurdo». Da qui a essere costretti a mettere in vendita la casa o peggio di chiedere prestiti agli istituti di credito per pagare le rette il passo è breve. Eppure per De Lillo ci sarebbe una soluzione che comporta un po’ di volontà e una richiesta di responsabilità alla maggioranza ulivista. Eccola.

«Presenteremo un emendamento alla Finanziaria regionale affinché nel calcolo del reddito non venga compresa la prima casa. Inoltre - chiosa il consigliere azzurro - è doveroso che dal pagamento della retta venga esclusa una quota pari alla pensione sociale per quelle necessità primarie del paziente».

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