Il retroscena Gianfranco e il pressing in Rai per il «cognato»

«Quanto riportato dall’articolo pubblicato mercoledì 2 giugno a pagina 12 del Giornale dal titolo “Paglia alla Sipra, mi manda Fini”, è destituito di ogni fondamento». Firmato: Fabrizio Alfano, portavoce del presidente della Camera. Roba di appena due mesi fa. Figurarsi. Si scopre solo ora che il rapporto di amicizia tra il direttore delle Relazioni esterne della Rai Guido Paglia e Gianfranco Fini era già naufragato da un pezzo. Gelo. Silenzio da più di un anno e mezzo. Naufragata un’amicizia storica, consolidata in oltre trent’anni di militanza comune, prima nell’Msi e poi in An. E arenata la carriera di Paglia in Viale Mazzini, dove, da sempre, l’ex vicedirettore del Giornale era considerato manager di fiducia di An. La causa, il solito «cognato», Giancarlo Tulliani. Deve avere un grande ascendente la famiglia Tulliani sul presidente della Camera se, oltre a influenzare la gestione di alcuni beni immobili avuti in eredità dalla vedova Colleoni, è riuscita a fargli rompere anche l’amicizia storica con Paglia. Lui, amareggiato, non vuole parlare con i giornali. E borbotta tra sé e sé: «Non capisco che cosa gli sia successo...».
Ma la rottura risale all’autunno 2008. Ben prima che il nome di Paglia circolasse per la presidenza della Sipra (la concessionaria pubblicitaria della Rai) con il totale disimpegno di Fini, il primo stop era arrivato allorché Paglia si era rifiutato di aprire una corsia preferenziale al burbanzoso «cognato».
Lo ha raccontato Bechis su Libero. Nel settembre 2008 Paglia è in corsa per diventare vicedirettore generale dell’azienda, quando una mattina gli arriva la telefonata della segreteria di Fini che gli chiede di ricevere Tulliani. Il fratello di Elisabetta, vuole un trattamento di favore per ottenere commesse e lavori allo scopo di avviare un’attività di trading di diritti cinematografici. Tulliani avanza richieste pretenziose, ma Paglia fa di tutto per dissuaderlo sottolineando che mancano i presupposti per esaudirle perché la Rai compra pochissime produzioni all’estero, perché è un mercato dominato dalle major, perché non ci si può improvvisare produttori cinematografici da un giorno all’altro. Tulliani non si rassegna e anche dopo aver incontrato Giancarlo Leone, l’ex amministratore delegato di Rai Cinema, torna alla carica. La rottura definitiva si consuma due mesi dopo a Montecitorio, nell’appartamento privato di Fini dove Paglia viene convocato e ritrova Giancarlo Tulliani. Per lui il presidente della Camera chiede «un minimo garantito sulla fiction, sull’intrattenimento e sui diritti cinema dall’estero». Un contratto di assoluto privilegio che le società che collaborano con la Rai conquistano dopo anni e anni di contratti a progetto. Paglia spiega ancora che mancano le condizioni e l’iscrizione all’albo dei fornitori, e che bisogna farsi apprezzare poco alla volta anche perché la concorrenza è massiccia. Tulliani accusa Paglia di ostruzionismo e di aver favorito altre società e altri committenti. Prima che degeneri malamente, il colloquio termina con il risoluto abbandono di Paglia.
Ora si scopre che di telefonate e incontri ce n’erano stati altri, sempre con lo stesso pressing griffato Montecitorio. Ma dopo il semaforo rosso opposto da Paglia, Fini aveva deciso di dirottare le sue richieste sul direttore generale Mauro Masi. Il quale, a sua volta, aveva indirizzato «il cognato» su Antonio Marano. «Sì, l’ho visto una volta», ricorda ora il vicedirettore generale con delega ai palinsesti. «Ma quando si presentò con quel cognome, io non sapevo bene chi avevo davanti. Fu lui a specificare che era il fratello di Elisabetta Tulliani. Comunque, è tutto vero. È una delle tante pratiche che arrivano sui nostri tavoli.

Ma il suo progetto non stava in piedi. Voleva produrre quattro prime serate su Raiuno e gli concedemmo due seconde serate». Che, dopo il flop della prima, si dimezzarono a una sola.
Ma intanto, la carriera di Paglia si è arenata.

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