Il retroscena I mujaheddin che vogliono aprire un altro fronte della jihad

L’India, con 140 milioni di musulmani, è il terzo fronte del terrorismo islamico, dopo l’Irak e l’Afghanistan. Soltanto quest’anno sono state colpite, con la tattica degli attacchi multipli simile a quella utilizzata ieri a Mumbai, le grandi città di Jaipur, Bangalore, Ahmadabad e Delhi, la capitale. Il bilancio delle vittime, prima del massacro di ieri, era di 200 morti e centinaia di feriti. L’antiterrorismo americano aveva fatto notare che dal 2004 al 2007 le vittime di attentati in India sono state 3.647, molte di più che in Afghanistan. Non a caso Ayman al Zawahiri, il numero due di Al Qaida, ha spesso citato l’India come nuovo fronte della guerra santa nei suoi proclami. I principali sospettati della strage di Mumbai sono i mujaheddin indiani, un gruppo terroristico che si rifà alla dottrina di Al Qaida.
Poche ore dopo gli attacchi, mentre i terroristi tenevano ancora in pugno degli ostaggi, i mujaheddin indiani hanno rivendicato la strage. Con messaggi via posta elettronica alle principali testate. I terroristi si sono presentati con il nome originario Deccan mujaheddin. L’altopiano del Deccan occupa gran parte della penisola indiana. Un’altra pista potrebbe essere quella del Movimento islamico per la guerra santa, che ha radici in Bangladesh: un’organizzazione del terrore che spesso si è intrecciata con le azioni dei mujaheddin indiani. L’11 luglio di due anni fa Mumbai fu colpita da un’ondata di attentati simultanei sui treni che provocarono 187 morti. Le indagini portarono al Lashkar e Taiba, un gruppo armato pachistano legato ad Al Qaida per la liberazione del Kashmir. Il Laskhar avrebbe fatto affidamento su elementi locali legati al Movimento degli studenti islamici dell’India messo fuori legge nel 2001 e in seguito riabilitato. Il movimento punta alla «liberazione dell’India» dall’influenza occidentale e alla sua conversione all’islam anche per la maggioranza indu. Gli elementi più oltranzisti del movimento studentesco, vicini ad Al Qaida, avrebbero dato vita all’organizzazione terroristica dei mujaheddin indiani.
Dopo la strage di Ahmedabad, del 26 luglio scorso, che ha provocato 56 morti, è stato arrestato Mufti Abu Bashir considerato la «mente» degli attentati. Assieme a nove sospetti complici tutti affiliati al Movimento degli studenti islamici. Anche per gli attentati di Delhi del 13 settembre, che hanno provocato 30 morti, è stato arrestato un esponente di primo piano degli «studenti» filo Al Qaida. Assieme ai mujaheddin indiani l’antiterrorismo indiano dà la caccia ai terroristi legati al Bangladesh. Il capo del tentacolo del terrore è Shaid Bilal, un musulmano indiano. Nel 2002-2003 si rifugiò in Arabia Saudita dove fu addestrato dallo zio materno, esponente di spicco di Jaish e Mohammed, l’Armata di Maometto, un gruppo pachistano filo Al Qaida che si batte per l’indipendenza del Kashmir.
La tattica degli attacchi multipli e simultanei è un marchio di fabbrica istituito dalla terza generazione di terroristi che si ispira ad Al Qaida. La novità di Mumbai è che assieme alle bombe hanno agito commando di attentatori suicidi con l’obiettivo di prendere ostaggi possibilmente britannici o americani. Gli ultimi attentati dimostrano che i terroristi puntano a destabilizzare l’India dal suo interno, fomentando la violenza fra maggioranza indu e minoranza musulmana.

Per questo motivo le nuove frange di Al Qaida colpiscono in maniera indiscriminata le grandi città e preferiscono i centri che attraggono investimenti stranieri per indebolire l’economia. Oppure i grandi alberghi, come nel caso di Mumbai, per terrorizzare gli occidentali.

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