Il retroscena Riunioni a raffica per dare una scossa ai ministri

Roma Un chiarimento ci sarà solo dopo ballottaggi e referendum del 21 giugno. Un po’ per tirare le somme davanti a un quadro più completo, un po’ perché Silvio Berlusconi ha davanti a sé una full immersion di politica estera, iniziata ieri a Roma con la visita di Muammar Gheddafi e destinata a finire a ridosso del voto con il Consiglio europeo a Bruxelles. In mezzo, nel week end, la visita da Barack Obama alla Casa Bianca.
Solo allora, a bocce ferme, si potranno fare le valutazioni del caso sugli equilibri interni alla maggioranza. Se l’asse tra Berlusconi e Umberto Bossi sembra rinsaldarsi ogni giorno che passa, infatti, l’esatto contrario accade con Gianfranco Fini. Il Senatùr, per dirne una, ieri è tornato a ripetere quanto «bene insieme» stiano lui e il Cavaliere. E poi, ha aggiunto salomonico, «come faccio io senza di loro e come fanno loro senza di me?». Un feeling, dunque, che al momento pare a prova di scalfittura se la Lega decide di non cavalcare affatto il fuoco di fila aperto dal Pd, contrario a che Gheddafi intervenga nell’aula del Senato. Che il Carroccio non sia un estimatore del Colonnello, infatti, non è certo una novità. Eppure ieri il leader leghista ha avuto solo parole di elogio. «Gheddafi - ha detto - sta aiutando l’Italia, fermando un po’ l’immigrazione. E se è venuto fino qui a Roma non si può non farlo parlare».
E mentre Bossi è sempre più al fianco del premier, dall’altro lato il presidente della Camera continua a dar l’idea di una certa distanza. L’ultimo capitolo è quello del ddl intercettazioni su cui ieri la Camera si è espressa con un voto di fiducia. Oggi, infatti, con ogni probabilità il Pd chiederà il voto segreto e la presidenza della Camera è intenzionata a concederlo. «Una scelta obbligata dal regolamento», spiegano non a torto gli uffici legislativi di Montecitorio. Anche se nel Pdl sono in molti a interpretarlo come «l’ennesimo segnale». Nel senso che Fini «tiene molto al suo ruolo di super partes» e «decidere di non concedere il voto segreto sarebbe stato decisamente poco elegante nei confronti del Pd». Certo, fanno notare ai vertici del gruppo Pdl, «poteva evitare di far sapere già dal giorno prima di essere intenzionato ad accogliere un’eventuale richiesta di voto segreto». Che in verità può anche essere letto come una «cortesia» alla maggioranza che oggi - mobilitata via sms dal capogruppo Fabrizio Cicchitto - sarà presente in massa. Insomma, difficile che ci siano sorprese.
È chiaro, insomma, che una messa a punto dentro la maggioranza sarà necessaria. Tanto che nella cena di lunedì ad Arcore è stato proprio Berlusconi ad auspicare un «maggiore coordinamento» soprattutto sul fronte riforme istituzionali. «Dobbiamo vederci per mettere a punto insieme queste riforme, ci chiudiamo in una stanza e ci restiamo quattro o cinque ore», ha detto rivolto a Roberto Calderoli. Che è ben felice di fare il punto, visto che nell’agenda della maggioranza - e ancor di più in quella della Lega - ci sono in primo luogo i decreti attuativi del federalismo fiscale su cui sta lavorando il ministro della Semplificazione. I passi successivi - già concordati con il premier - sono il federalismo costituzionale (Senato delle Regioni, riduzione del numero dei parlamentari e maggiori poteri al premier) e poi una nuova legge elettorale.
Ma il vis-à-vis con Calderoli non sarà un’eccezione, perché Berlusconi è convinto che tutti i ministri si debbano subito «dare una mossa» per rilanciare l’azione di governo. Per questo è nelle sue intenzioni una riunione più ampia o diverse riunioni con gruppi di ministri per compattare la squadra e coordinarsi al meglio. Un appuntamento cui potrebbero partecipare anche capigruppo e vicecapigruppo che hanno poi il compito di seguire i provvedimenti nel loro iter parlamentare. Anche perché le Camere saranno presto chiamate ad affrontare più di un appuntamento importante. Primo fra tutti, la riforma della giustizia.

Su cui non è affatto escluso che possa saldarsi ancora di più l’asse tra Fini e Giorgio Napolitano. Che non deve pensarla in maniera troppo doverosa dal vicepresidente del Csm Nicola Mancino: sulla giustizia è «necessario» uno «spirito di collaborazione» tra governo e Parlamento.

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