«La riabilitazione è il futuro della Sanità»

Sanità lungimirante e riabilitazione. In una società in cui le speranze di vita si allungano, aumentano gli anziani e le risorse economiche vanno gestite con grande attenzione, una gestione migliore delle prestazioni sanitarie diventa una priorità. Da tempo nei Paesi sviluppati si è iniziato a rimodulare le strategie sanitarie prestando più attenzione alla gestione delle malattie croniche e alla prevenzione delle disabilità. In questo contesto le scienze riabilitative stanno acquistando un ruolo sempre maggiore.
«Oggi - spiega il professor Massimo Fini, direttore scientifico dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Raffaele Pisana di Roma - la riabilitazione ha acquisito una grande rilevanza perché, a differenza di quanto accadeva in passato, si basa su certezze scientifiche ed è economicamente sostenibile. Allo stato attuale la riabilitazione è una disciplina efficace ed efficiente».
Oggi l’attività riabilitativa è rivolta prevalentemente alle tipologie di popolazione più a rischio, quali pazienti che hanno subìto danni cardiovascolari o cerebrali. «In futuro - prosegue il professor Fini -, in un’ottica di sanità lungimirante la riabilitazione si occuperà sempre più, anche in generale, di anziani, persone con malattie croniche o affette da più patologie contemporaneamente (comorbilità, ndr). Gli obiettivi di questa disciplina sono e saranno sempre di più la riduzione della cronicizzazione delle malattie e la prevenzione della riacutizzazione di quelle già divenute croniche. La riabilitazione oggi è in grado di rispondere a queste esigenze: per questo fa parte del futuro della sanità».
A guidare l’evoluzione delle scienze riabilitative si candidano anche strutture che, in Italia, ottengono il riconoscimento di Irccs. Si tratta di Istituti in cui all’attività di assistenza si affianca quella della ricerca.
«Il San Raffaele Pisana - sottolinea il direttore scientifico - ha tutti i requisiti per essere all’avanguardia nella riabilitazione e nel suo sviluppo. In primo luogo possiamo vantare l’eccellenza sia nella qualità dell’assistenza che in quella della ricerca. In secondo luogo per via delle collaborazioni con il resto della comunità scientifica e delle altre strutture sanitarie presenti sul territorio. Il nostro Istituto si inserisce lungo un continuum che vede coinvolte da una parte le strutture per acuti, dall’altra il territorio. Nell’ambito della ricerca abbiamo rapporti di cooperazione con Centri in tutti i cinque continenti. Oggi non si può più fare ricerca in modo isolato. Spesso ci muoviamo noi, altre volte sono università di altri Paesi a venire da noi».
Cosa ne pensa il professor Fini del fenomeno dei “cervelli” italiani che se ne sono andati all’estero? «Il problema è in fase di attenuazione» risponde. «Negli ultimi dieci anni i ministeri della Ricerca scientifica e della Salute hanno messo a disposizione alcune centinaia di milioni di euro l’anno per la ricerca medica. Adesso i progetti si candidano per un finanziamento, non sono più valutati da organismi italiani ma da esperti americani del National Institutes of Health che non conoscono gli autori e applicano criteri oggettivi. Questo favorisce un processo meritocratico che, unito alla disponibilità non irrisoria di fondi, può aiutarci a prevenire la fuga dei cervelli. Pertanto, la ricerca è diventata un’attività internazionale, conta sempre meno la nazionalità. Se l’argomento di ricerca per il quale si nutre interesse, è stato oggetto di pubblicazioni rilevanti, è possibile contattare direttamente l’autore e instaurare con lui una collaborazione».
In riabilitazione, e negli Irccs come il San Raffaele Pisana, si riscontra una sinergia tra ricerca di base e attività clinica con la possibilità di confrontare i dati rilevati prima del trattamento e quelli finali (outcome). «È quello che nel nostro mondo - spiega Fini - chiamiamo “from the bench to the bedside”: dalla ricerca in laboratorio al letto del paziente». Oltre all’attività clinica e di ricerca biomedica, l’attività di ricerca di base dell’Irccs San Raffaele di Roma viene svolta in un Centro Ricerche di circa 3.000 metri quadri. Nell’Irccs di riabilitazione romano la ricerca non è però ovviamente solo un’attività di laboratorio, ma anche il frutto di un impegno quotidiano di un team di medici, fisioterapisti, terapisti occupazionali, logopedisti, infermieri e altre figure, che consentono di erogare un’assistenza di elevata qualità. In questo contesto, il ruolo di un direttore scientifico come il professor Fini è paragonabile a quello di un allenatore nel calcio che alla fine dello scorso anno ha visto la propria squadra scalare la classifica raggiungendo 164 pubblicazioni e un Impact factor globale (un’unità di misura che tiene conto anche del prestigio delle riviste) di 829,400.
L’Irccs San Raffaele di Roma sta investendo le proprie risorse ed energia anche in modalità innovative di erogazione dell’assistenza quali: telemedicina, teleassistenza e teleriabilitazione.

Grazie all’applicazione delle tecnologie esistenti e allo sviluppo di nuove, il personale dell’Irccs può, per esempio, monitorare i parametri vitali dei pazienti dimessi mentre compiono esercizi a casa. Nel ciclo «bench to bedside», si aggiunge così anche l’elemento «home», casa. E oltre a crescere l’integrazione tra ricerca e clinica, si consolida anche il legame con il territorio e la vita quotidiana dei pazienti.

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