La ricerca estetica di Nino Mandrici

Passione, lirismo e umanesimo caratterizzano le opere di Nino Mandrici, esposte fino a domenica nel Complesso del Vittoriano nella mostra Mani come bandiere. Umanità e solidarietà. Quarantacinque sculture in bronzo, terracotta e soprattutto legno, oltre ad otto dipinti, ripercorrono il cammino artistico di uno scultore figurativo che mette al centro della sua ricerca estetica l’uomo. Certo le mani sono d’importanza vitale per un artista che, rifacendosi a un concetto michelangiolesco, vuole liberare l’anima imprigionata nella materia, quella forma sconosciuta che solo lui vede, magari in un pezzo di legno trovato per caso su una spiaggia maremmana e poi sapientemente lavorato. «Perché le mie sculture hanno sempre le mani così grandi e le dita allungate come se volessero afferrare i sogni?», si chiede l’artista e da solo si risponde: «È perché sono le mie mani ed io cerco sempre di carpire quanto più posso da ciò che mi circonda, dalle emozioni, dalle cose». Ed è sempre lui che in una poesia afferma: «Porto il mio cuore/ come una ferita/ le grandi mani/ come pigre ali/ l’alveare della memoria/ come una vecchia bandiera». Una bandiera che sventola per ricordarci che tutti apparteniamo alla stessa terra, tanti microcosmi in un macrocosmo universale. I temi più cari sono l’amore, la maternità, l’incontro tra esseri umani, che si concretizzano in figure nodose e contorte, altre volte filiformi, altre volte ancora morbide e dolci. La vita, la gioia, il dolore e la morte sono fortemente espressi nelle sue opere, come pure nei suoi versi. I maestri ai quali guarda sono Ugo Attardi, Emilio Greco, Corrado Cagli, Pericle Fazzini, ma si avvertono anche gli echi di Gemito, Rodin, Medardo Rosso.
Nato nel 1930, Mandrici compie i suoi studi in Maremma e poi a Roma. Già da ragazzo, intorno ai dieci anni, dimostra la sua vena creativa nel costruirsi i pupazzi del suo teatrino. Ma è in Venezuela, dove si reca per motivi di lavoro, che si appassiona all’intaglio del legno eseguito dagli indios Guajiros.


Nel 1968 abbandona ogni altra attività per dedicarsi completamente alla scultura e nel 1969 inaugura la sua prima mostra a Roma. Da allora è tutto un susseguirsi di esperienze diverse, tra cui un soggiorno in un kibbutz israeliano, di ricerca di nuovi materiali e di esposizioni in Italia e all’estero. Orario: dalle 10 alle 19

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