Controcultura

Alla ricerca di "Un uomo sottile"

"Nel caso mi succeda trafiggimi", mi dice al telefono il neuroscienziato Giorgio Vallortigara. Solo che mi ero distratto, "che ti succeda che?".

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Alla ricerca di "Un uomo sottile"

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«Nel caso mi succeda trafiggimi», mi dice al telefono il neuroscienziato Giorgio Vallortigara. Solo che mi ero distratto, «che ti succeda che?». Si riferiva all'Alzheimer (vai a capire perché dovrei trafiggerlo e non sparargli, cos'è un vampiro, devo farlo con un paletto di frassino?), ma la conversazione era partita dalla comune lettura di un romanzo appena uscito, Un uomo sottile, di Pierpaolo Vettori, edito da Neri Pozza.

Il romanzo di Pierpaolo Vettori è bello, è un'indagine su Daniele Del Giudice, il protagonista (che ha a sua volta una moglie affetta da Alzheimer) è ossessionato dallo scrittore morto recentemente, ma in realtà scomparso molto prima a causa dell'Alzheimer. «In inglese vanish into air significa sparire nel nulla». «La traduzione, come spesso capita, è bugiarda; quello che rendiamo con la parola originale suona come aria sottile». Da qui Un uomo sottile, che è quello che era diventato Daniele Del Giudice, autore di uno dei capolavori della letteratura italiana, Atlante Occidentale, tra i pochi a usare la scienza per porsi interrogativi esistenziali, molto più di Italo Calvino che la usava, ma a fini umoristici (il tanto citato Cosmicomiche). Quando è iniziato a sparire Del Giudice, visto comunque che non ha scritto molto e la sua ultima produzione si è limitata a brevi racconti per poi smettere totalmente a causa della malattia?

Se leggete il libro di Vettori seguirete un percorso tortuoso e senza una risposta (anche perché vengono intervistati, a livello immaginario, i protagonisti dei romanzi di Del Giudice), ma la conversazione con Vallortigara, attraverso la lettura di questo romanzo, ha generato due punti di vista. A mio avviso è meglio dimenticare che ammalarsi gravemente (per esempio un tumore) e restare coscienti fino alla morte, l'orrore di sapere di non esserci più di lì a poco, di non poter rivedere le persone che amiamo. Ma Vallortigara mi ha detto che nel frattempo si è consultato con un neurologo, «e l'impressione dei clinici che seguono questi pazienti è che, in alcuni casi, ci sia una sofferenza indicibile, che pure non può esprimersi, e il medico ha l'impressione che queste persone sperimentano l'orrore».

Capisco anche questo, su Youtube c'è un'intervista a Daniele Del Giudice, girata in taxi subito dopo aver ricevuto un premio (e citata nel libro di Vettori) dove lo scrittore fatica a descrivere il suo stesso libro, Atlante Occidentale. Tuttavia mi appello a un'altra considerazione, tirando fuori Samuel Beckett e il suo L'ultimo nastro di Krapp. Per farla breve Krapp non vuole perdere il suo io, e si registra ogni giorno, ma quando da vecchio risente i nastri non si riconosce, a parlare è un estraneo. In qualche modo giorno dopo giorno ci trasciniamo avanti un'idea di io, credendo rimanga sempre la stessa, ma viene sostituita da altri io, così come non ci accorgiamo dei cambiamenti fisici, del nostro volto che diventa irriconoscibile (se non guardando una fotografia, ma è impossibile fotografare il nostro io, se non appunto come ha fatto il Krapp di Beckett).

Detto questo non c'è dubbio, morire consapevoli o svanire lentamente sono due orrori, poi ci sarà chi mi parlerà dell'anima, ma mi chiedo come fanno i credenti a conciliare l'anima con l'Alzheimer.

In ogni caso sappiate che se un giorno trovate Vallortigara trafitto sono stato io, magari si era solo dimenticato il caffè sul fuoco ma ho avuto disposizioni precise: «ai primi segnali».

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