Politica

La ricetta anticrisi della Cgil: fare uno sciopero generale

di Paolo Granzotto

Agendo in rappresentanza e si deve presumere a tutela dei lavoratori iscritti alla Cgil Susanna Camusso ha avuto una idea geniale: appollaiarsi su un ramo per poi mettersi a segarlo dalla parte sbagliata. Indire uno sciopero generale in piena recessione economica e finanziaria, con le borse che ballano, le buste paga scartavetrate, il canto della sirena della delocalizzazione significa quello: farsi del male, molto ma molto male, da soli. E non c’è «cultura sindacale» che tenga, a meno di non riferirsi a quella degli anni Cinquanta. Quando però lo sciopero era davvero generale e il Paese davvero si fermava. E l’Italia, ma diciamo pure una larga fetta del mondo, non era in ginocchio. «L’obiettivo della mobilitazione della Cgil è quello di modificare una manovra ingiusta, iniqua e sbagliata», ha proclamato, impavida, Camusso. «Modificare»: a deliri sindacalesi di questo calibro non giunse nemmeno Luciano Lama, che pure aveva dietro sé le masse, l’intera forza-lavoro e un Partito comunista più tosto che mai. Modificare, poi, come? Interrompendo la già non entusiasmante produzione, incrociando le braccia quando più che mai c’è bisogno che agiscano per non compromettere le risicate speranze di uscirne, dalla crisi, senza troppe ossa rotte.
Dovendo pur concedere a Camusso un ancorché minimo sindacale di raziocinio, la sua uscita non può spiegarsi se non riconducendola a un’esigenza primaria: mostrare di esistere. Di essere alla testa di un sindacato che a sua volta esiste. E di sicuro ella è persuasa che la dichiarazione di appartenenza in vita di un sindacato e del suo segretario sia lo sciopero generale. L’antico babau che solo Camusso, riproponendolo nelle forme dimesse e meno che mai «unitarie», si illude possa gelare il sangue nelle vene della politica. Bisogna essere dei dilettanti, avere una visione assai superficiale della temperie che squassa l’Occidente, bisogna avere una cultura sindacale e politica molto acerba per convincersi, oggi come oggi, di ciò.
Che il grosso degli iscritti alla Cgil non sia rappresentato da lavoratori attivi bensì da pensionati non cambia le dimensioni dell’abbaglio. Proclamare uno sciopero nelle condizioni in cui si trovano Paese e lavoratori resta una idiozia formale, significa beffarsi dell’uno e degli altri. Va però riconosciuto che come ogni atto stolto e disperato, anche quello di Camusso ha un che di eroico.

E infatti richiama la carica di Isbuscenskij: cavalli ventre a terra contro uno schieramento di carri armati.

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