LE RICETTE ANTICRISI

RomaNiente Banca del Sud per Giulio Tremonti. Almeno per ora. La «guerra del tartufo» al Senato ha lasciato sul campo di battaglia una vittima illustre: il nuovo istituto di credito sponsorizzato dal ministro dell’Economia. La votazione della Finanziaria nell’Aula di Palazzo Madama nel corso delle due sedute di ieri ha incontrato alcune difficoltà «tecniche» e della nuova entità per sostenere il Mezzogiorno si riparlerà alla Camera, Gianfranco Fini permettendo.
Ma perché una «guerra» per i tartufi? Nell’emendamento omnibus presentato dal relatore Saia erano contenute alcune micronorme di spesa reclamate dai senatori. Tra queste le detrazioni fiscali per i raccoglitori occasionali di tartufo, i sostegni ai prodotti stagionati come il prosciutto, le agevolazioni per l’agricoltura e per l’impiego dei defibrillatori. In questo impianto avrebbe trovato posto anche la Banca del Sud.
Giovedì sera le modifiche erano già pronte. Restava solo un problema: alcuni emendamenti, incluso quello sulla banca, non erano stati precedentemente affrontati in commissione Bilancio e l’opposizione era pronta a sollevare la questione dell’inammissibilità giacché in Aula non si può deliberare ex novo. Una questione fatta presente dai senatori del Pdl, a partire dal capogruppo Maurizio Gasparri, a Tremonti. La possibilità di un rinvio alla Camera era tutt’altro che remota.
Le versioni raccolte in ambienti parlamentari e governativi, tuttavia, divergono. Secondo alcuni, il Pd avrebbe potuto far «passare» la banca tremontiana se fosse stato approvato l’emendamento sulla cedolare secca del 20% sugli affitti, compreso nella cosiddetta «contro-manovra» da 37 miliardi del presidente della commissione Finanze, l’ex An Baldassarri. L’argomento sta a cuore tanto alla destra quanto alla sinistra, ma il ministro avrebbe rifiutato per non compromettere l’impianto della manovra. Di qui il «niet» che, stando a questo racconto, sarebbe imputabile non solo al partito di Bersani ma anche a quella parte di Pdl sempre più insofferente nei confronti di Tremonti.
L’altra versione è meno ricca di pathos. Il ministro, informato dell’inammissibilità, ne avrebbe preso atto rinviando l’appuntamento alla Camera. Il discorso sulle micronorme, invece, sarebbe stato affrontato a parte, ferma restando l’opposizione del Tesoro alle proposte di Baldassarri.
Non si può stabilire a priori quale delle due storie sia più rispondente al vero, ma c’è un fatto. La «contro-manovra» di Baldassarri è stata quasi tutta riassorbita in un ordine del giorno e dunque non è stata discussa tranne tre emendamenti (cedolare secca, tagli a Irap e Irpef). I quali sono stati sì respinti ma con il concorso determinante delle astensioni che al Senato equivalgono a un «no». In particolare, i bonus sulle locazioni sono stati bocciati con il seguente risultato: 128 sì, 117 contrari e 29 astenuti tra i quali Gasparri e il suo vice Gaetano Quagliariello. Un segnale da non trascurare. Bocciato anche un emendamento che sbloccava i fondi a favore di giovani ricercatori universitari. Secondo fonti della maggioranza la norma potrebbe comunque rientrare nel ddl Gelmini sull’università.
Nella seduta pomeridiana la scure dell’inammissibilità ha così colpito tanto i tartufi quanto la Banca del Sud, con il presidente del Senato, Renato Schifani, che «a malincuore» ha dovuto espungerla per «mancanza di condivisione». Bisogna, comunque, rendere merito a Schifani di aver incanalato il dibattito nei termini di un sereno confronto tra maggioranza e opposizione e al capogruppo del Pdl, Maurizio Gasparri, di aver condotto a termine la battaglia riuscendo a compattare il proprio reggimento contro «un’opposizione massimalista». Palazzo Madama ha approvato la manovra con 149 sì, 122 no e 3 astenuti compreso l’Mpa di Lombardo, sempre in polemica sulla questione meridionale.
Qual è dunque lo scenario politico che si profila? Il ministro Tremonti ha tenuto la barra dritta sulla tenuta dei conti liberando comunque 100 milioni per i comparti sicurezza e giustizia con la vendita dei beni confiscati alla mafia.

Inoltre il Tesoro con il decreto sul taglio degli acconti Irpef ha dato un segnale di disponibilità, in primis al premier Berlusconi, ad allargare i cordoni della borsa. Ma a Montecitorio è alle viste un altro scontro. Ieri il presidente della Camera Fini ha sollecitato maggiori investimenti sulla tecnologia e sulla ricerca. A Giulio Tremonti saranno fischiate le orecchie.

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