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Ricordate Tangentopoli? È ancora qui

Milano Ma, in fondo, perché le cose avrebbero dovuto cambiare? Qualcuno può davvero nutrire una visione così salvifica del ruolo dell’informazione e della giustizia da ritenere sorprendente che, a quasi vent’anni di distanza dal primo scandalo di Affittopoli, si scopra che a Milano tutto è ancora come prima? Davvero era pensabile che nella città post-Affittopoli, post-Tangentopoli, post-Prima repubblica, la pletora dei privilegiati avrebbe rinunciato a far valere il proprio status? Che giornalisti, politici, baroni e rampolli confindustriali si sarebbero messi disciplinatamente in coda per contrarre un mutuo in banca, lasciando ai veri bisognosi le chiavi dell’immenso patrimonio pubblico?
Davvero nulla è cambiato. Identici - tecnicalities a parte - sono i meccanismi di selezione dei destinatari: meccanismi che si riassumono nell’arbitrio più spensierato, camuffato da bando o da gara. Identica è la trasversalità politica e culturale dei miracolati. E identico e inestirpabile è soprattutto il contesto, identici gli abiti mentali e le consuetudini sociali che producono tutto ciò. La verità è che i privilegiati si frequentano tra di loro, si scambiano favori, si trovano simpatici. Non sempre si amano, anzi spesso si odiano, ma sanno che alla fine in questo valzer di favori i conti alla fine tornano per tutti.
Le liste degli inquilini della Baggina non sono certo l’unico esempio che a Milano si può toccare con mano di questo circuito di cortesie da cui a essere esclusi a priori sono gli unici che di una mano avrebbero bisogno davvero. Basta guardare la tribuna di San Siro una domenica sera qualunque, e si potrebbero indicare a dito - senza paura di sbagliare - i vip, i mezzivip, i notabili di qualunque estrazione che sono lì senza avere pagato il biglietto: eppure potrebbero permetterselo. Basta andare negli ospedali, e scoprire che a saltare a piè pari mesi di liste d’attesa sono solo quelli che avrebbero comunque i soldi per andare dallo specialista privato: e pochi giorni fa un grande giornalista raccontava con nonchalance, come fosse la cosa più normale del mondo, la sua visita all’ospedale San Paolo, accolto e riverito dai medici, e accompagnato fin dentro l’ascensore.
Il bene pubblico diventa companatico per le pubbliche relazioni: come aveva ben compreso il mitico Mario Chiesa. Da ragazzo intelligente qual era, il presidente della Baggina aveva capito in fretta che le due categorie da cui rischiava più grattacapi erano i giudici e i giornalisti, e dispensò con generosità case agli uni e agli altri case. La cosa gli valse per qualche tempo ottima stampa e sonni tranquilli. Difficile dire se dietro al perpetuarsi del «metodo Chiesa» ci sia la stessa lucidità progettuale del suo inventore, o semplicemente la traccia di una complicità istintiva, di una solidarietà tra pari o almeno tra contigui. Ma il risultato non cambia.
Sono diversi i numeri. Minore, percentualmente, è il numero degli «amici degli amici» presenti nelle liste. Mediamente più alti risultano gli importi degli affitti, che negli anni Novanta erano irrisori, e che oggi si collocano un po’ più in su, anche se sempre a distanza di sicurezza dai prezzi di mercato.

È come se l’unica eredità di quello scandalo sia, alla fin fine, qualche surplus di pudore o almeno di accortezza: si va avanti come prima ma cercando almeno di non dare troppo nell’occhio. Non sarà granché: ma così va il mondo, e bisognerà pur accontentarsi.

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