Il 18 giugno andrà in scena, al Tribunale di Torino, la prima udienza sulla causa indetta dalla Fiom contro l’avvio, da parte di Fiat, della nuova società «Fabbrica Italia Pomigliano». John Elkann e Sergio Marchionne, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Fiat, hanno apertamente espresso la loro preoccupazione «per il rischio di rimanere ingarbugliati in procedure legali». Significa che il Lingotto non può permettersi ulteriori ritardi nella pianificazione delle future produzioni di veicoli in Italia. Su Pomigliano d’Arco, del resto, gli investimenti sono già partiti (da novembre sarà attiva la linea della nuova Panda), come anche le riassunzioni del personale (dalle attuali 250 unità si arriverà a 500 dopo l’estate, fino a raggiungere quota 4mila entro marzo 2012).
Ma c’è una domanda che non fa dormire sonni tranquilli agli altri sindacati metalmeccanici (la maggioranza) e migliaia di famiglie di operai Fiat: se, alla fine, la sentenza del giudice sposasse l’esposto della Fiom, quale sarà la reazione di Marchionne? L’amministratore delegato del gruppo, l’altro giorno da Venezia, ha laconicamente risposto che «gestiremo le conseguenze». Oltre non si è sbilanciato. Dalla parte opposta, in casa Cgil (Susanna Camusso) e Fiom (Maurizio Landini), la linea del muro contro muro è sempre più forte.
«Gli accordi sindacali sottoscritti presso lo stabilimento di Mirafiori e Pomigliano potrebbero essere dichiarati nulli - afferma il giuslavorista Gabriele Fava - con la conseguenza che l’intera operazione Fiat potrebbe saltare senza mezzi termini. La nullità degli accordi comporterà, da un lato, l’applicazione per i lavoratori delle condizioni normative ed economiche precedenti all’operazione; dall’altra, il ripristino dei contratti collettivi già vigenti in epoca antecedente al trasferimento di azienda». In pratica, tutto il teorema Marchionne verrebbe di fatto annullato.
«Secondo la Fiom - spiega Fava - le dimissioni richieste ai lavoratori napoletani, con la contestuale riassunzione presso la “Newco Fabbrica Italia Pomigliano”, costituirebbero infatti una violazione della normativa sui trasferimenti di azienda, con danni ai diritti dei dipendenti. L’operazione, inoltre, perseguirebbe lo scopo di lasciar fuori la stessa Fiom dalla nuova azienda, attraverso la costituzione delle Rsa (applicabile solo ai firmatari dell’accordo di Pomigliano e Mirafiori), anziché delle Rsu».
Fin qui il parere tranchant dell’esperto. Ma timori si avvertono anche tra i leader sindacali, gli stessi (Fim, Uilm, Ugl e Fimic) che hanno sottoscritto gli accordi con il Lingotto, forti del risultato uscito dai referendum a Pomigliano d’Arco, Mirafiori e Oag (ex Bertone). Giovanni Centrella, segretario generale dell’Ugl, sostiene che «un giudice non può ribaltare un’intesa come quella su Pomigliano.
Se lo fa, siamo fuori dal mondo, con la conseguenza che non esisterebbero più le relazioni sindacali e industriali. Non considerando quanto sottoscritto da quattro sigle sindacali, ognuno andrebbe per conto proprio. E sarebbe l’anarchia. Il rischio è che Fiat faccia saltare tutto». Roberto Di Maulo, leader della Fismic, evidenzia subito il problema della competenza territoriale: «Perché - si chiede - la presentazione del ricorso avviene presso il Tribunale di Torino e non in quello di Nola?». Il giudice, inoltre, con un verdetto favorevole alla Fiom, «farebbe perdere ai lavoratori interessati - aggiunge Di Maulo - tutte la clausole di miglior favore ottenute», con ripercussioni non indifferenti sulla busta paga. Convinto della bontà degli accordi fatti è anche Rocco Palombella, segretario generale della Uilm: «Rifarei tutto per filo e per segno - sottolinea -; ritengo preoccupante affidare a un giudice il destino di un’intesa condivisa. Si rischia veramente la fine delle relazioni sindacali. Un verdetto favorevole alla causa in corso metterebbe in allarme tutte le aziende del Paese, sarebbe un precedente negativo per chi vuole investire in Italia, un messaggio sbagliato al mondo delle imprese».
E Giovanni Sgambati, responsabile della Uilm Campania: «C’è il rischio di finire in Corte di Cassazione. Promuovere un ricorso del genere non è da sindacato. Di positivo c’è il fatto che, durante tutto l’iter, a Pomigliano d’Arco si continuerà a lavorare».
Il 18 giugno, a Torino, ci sarà anche Gerardo Giannone (Rsu Fim Pomigliano): «La Fiom sbaglia - osserva -; non può la decisione di una sola persona spazzare via la volontà della stragrande maggioranza degli operai. La Fiom sta violando la democrazia. Lo spettro di Fincantieri è dietro l’angolo...».
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