Davide Van De Sfroos torna a Milano per un concerto che lui stesso definisce, senza mezzi termini, «commemorativo ma non autocelebrativo, qualcosa di molto importante». Al Mediolanum Forum di Assago, sabato 25 febbraio, va in scena l'esplosione rock-folk della sua musica «laghée», quel cocktail di suoni, ritmo, e poetica lariana che, dopo i successi iniziali in Lombardia e Canton Ticino, ha conquistato l'Italia. Complice anche un'apparizione al Festival di Sanremo 2011 che lo ha segnalato come una delle presenze più apprezzate in un'edizione già fortunata di suo. Con il brano «Yanez» e l'album omonimo, Van De Sfroos ha venduto 65mila copie e ha realizzato un tour di 50 date. Quest'anno, come autore del brano «Grande Mistero» cantato da Irene Fornaciari, Van De Sfroos ha partecipato alla kermesse ligure nelle vesti di autore. Un annus mirabilis, quello compreso tra i due festival, che il cantautore lombardo (nato a Monza) si sente di festeggiare sulla piazza milanese. A 500 soli biglietti dal sold out al Forum, roba da rockstar internazionale.
Quello al Forum sarà un concerto-evento: Milano è diventata finalmente una città amica?
«Il mio rapporto con Milano meriterebbe il racconto di un libro. Oggi presento il concerto di sabato sui Navigli, tra gli ospiti sul palco avrò, quella sera, musicisti simbolo di Milano come l'armoncista blues Fabio Treves. E già che ci sono dico che non mancherà Irene Fornaciari, con cui canteremo insieme Yanez e il brano che ha portato a Sanremo. Ci saranno anche altri ospiti, che però tengo segreti. Nessun vip come li intendono i media, sia chiaro. Comunque è vero che oggi Milano ai miei occhi è diversa...».
Diversa come? Ci racconti il perché...
«Bè, perché ho cominciato a conoscere realmente Milano con l'attività musicale. Prima, questa città era la paura e la diffidenza. Negli anni '70, quando ero giovanissimo, era la città degli anni di piombo, i Settanta, quella dei sabato infiammati dagli scontri dalla violenza nelle strade. Un luogo da temere. Poi, con gli anni '80 è diventata la città della tendenza. I milanesi salivano nelle valli coi vestiti griffati, facevano i bauscia e noi facevamo i sostenuti, poi correvamo a comprarci le stesse cose. Venire a Milano ci metteva in soggezione. E se andare a Como era come viaggiare verso il Far West, raggiungere Milano era l'odissea nello spazio. Lo canto anche in una canzone, intitolata Cowboy. Di Milano parlo anche in 40 passi, che sono quelli che servono per entrare nel Duomo dal sagrato».
La sua musica fu un benefico Ufo allo scorso Sanremo: in questa edizione invece non pensa sia mancato un personaggio come il suo?
«Sì, forse è vero. Il Vecchioni di quest'anno era Finardi. Emma è tornata. Il ruolo dei melodici è stato ovviamente mantenuto. Mancava un artista rock-folk».
Le è piaciuta come edizione del Festival?
«La mia fu senza dubbio migliore. La presenza di Celentano ha condizionato tutto: è stato come fare atterrare su una pista un aeronave ingombrante, che ha condizionato partenze e voli degli aerei più piccoli. Questi erano gli artisti in gara.
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