Emanuela Fontana
da Roma
L’attacco con un camion imbottito di 400 chili di tritolo e liquido infiammabile contro la base militare «Maestrale di Nassirya» che uccise 19 soldati e carabinieri italiani fu «un caso di resistenza armata». Niente di più per Marco Ferrando, esponente dell’ala più a sinistra di Rifondazione («Progetto comunista») e che con questa uscita ha creato un caso molto imbarazzante all’interno di Rifondazione e dell’Unione e ha messo quasi una pietra tombale sopra la sua candidatura. «Noi sosteniamo tutte le intifade - ha detto Ferrando in un’intervista al Corriere della Sera - le grandi sollevazioni del Medio Oriente e dell’America Latina». E, per quanto riguarda l’Irak, «la lotta armata contro l'occupazione militare è giusta. Tutti gli episodi in cui ci sono stati nostri caduti rientrano in tutto e per tutto nella responsabilità d’una missione militare al servizio dell’Eni». Ferrando è dunque a favore «della sollevazione popolare irachena contro le nostre truppe perché i popoli oppressi devono esercitare la lotta per l’emancipazione con gli strumenti adatti». Parole esplosive per gli alleati ma soprattutto per chi a Nassirya ha perso un padre o un marito: «Sono indignato per le affermazioni dell’onorevole Ferrando - dice Marco Intravaia, figlio del brigadiere dei carabinieri Domenico, morto nell’attentato del 12 novembre del 2003 -. Mi aspetto delle scuse immediate da parte del centrosinistra e spero che gli esponenti della stessa coalizione non la pensino allo stesso modo».
La precisazione di Rifondazione è arrivata già nel pomeriggio con una dichiarazione di Renato Migliore, responsabile esteri del Prc: «Le posizioni di Ferrando non esprimono neppure lontanamente quelle di Rifondazione comunista. Il nostro giudizio di condanna sulla guerra in Irak è netto e lo abbiamo sempre palesato. Il nostro cordoglio per i soldati italiani morti a Nassirya - sottolinea però - non è mai stato in discussione perché anch’essi sono vittime di una guerra».
Secca la condanna dei Ds, con il senatore Stefano Passigli: «È sconcertante che i partiti dell’Unione possano pensare di candidare personaggi le cui posizioni sono estranee non solo al programma, ma anche ai valori cui si ispira la coalizione». Passigli aggiunge anzi un’ulteriore precisazione: «La presenza nella coalizione di centrosinistra di laici come me, Manzella o Ayala provenienti dalla tradizione repubblicana garantisce agli elettori dell’Unione che tali posizioni non si tradurranno mai in politiche di governo».
Le reazioni degli alleati sono esterrefatte: «Mi appello a tutte le forze dell’Unione - chiede Antonio Di Pietro - affinché anche le candidature siano omogenee rispetto al programma sul quale tutti ci siamo impegnati». Le parole di Ferrando sono «l’ulteriore dimostrazione che l’Unione non può permettersi di avere in Parlamento persone dirompenti dal punto di vista della continuità e credibilità del programma».
La maggioranza chiede un «chiarimento» all’Unione sulle parole dell’esponente del Prc. «Questa - ha sottolineato il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi a Radio radicale - è la presa di posizione di un esponente di una componente di Rifondazione comunista che conta più del 40% dei consensi all’interno del partito di Bertinotti. Questi sono gli esponenti politici che si propongono di governare il nostro Paese. Credo che gli italiani abbiano il diritto di avere da parte di Fassino e Bertinotti parole di chiarimento». Per il capogruppo di An Ignazio La Russa non c’è da stupirsi: «Le posizioni di Ferrando non sono una novità per Rifondazione comunista e la sinistra. Basta leggere il disegno di legge in cui si chiede una commissione d’inchiesta per indagare sull’operato dei soldati italiani durante la battaglia dei Tre Ponti a Nassirya». Come farà il centrosinistra a governare «con trozkisti come Ferrando?», chiede il viceministro alle Attività produttive Adolfo Urso. «Ferrando è più adatto ad Hamas che al Parlamento», incalza Maurizio Gasparri (An).
Non è sorpreso il presidente emerito Francesco Cossiga: «Quella di Ferrando è la tesi implicitamente accolta nel programma dell’Unione, quando si qualificano le truppe italiane e quelle della coalizione in Irak come “truppe di occupazione”».
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