La riforma sanitaria è la chiave per entrare alla Casa Bianca

Gli aspiranti presidenti cercano i voti dei 47 milioni di americani privi di copertura

La riforma sanitaria è la chiave per entrare alla Casa Bianca

Deamonte Driver aveva 12 anni. È seppellito in un piccolo cimitero della contea di Prince George, in Maryland: è morto il 28 febbraio scorso per un ascesso dentale diventato un’infezione che ha raggiunto il cervello. È morto perché la madre non aveva un’assicurazione medica. Più di Michael Moore e del suo Sicko, più dei movimentisti di mezza America, è lui il simbolo di una delle battaglie politico-sociali sulla strada della Casa Bianca. Tutti i principali protagonisti della corsa verso la presidenza 2008 ne parlano spinti dalle domande dei media e dalle relazioni dei nuovi guru elettorali come Drew Westen, convinto che la sanità sia l’argomento del futuro nella politica interna. Così è il momento: per la prima volta da molti anni, la campagna elettorale per la prossima presidenza degli Stati Uniti si gioca anche sulla riforma del sistema sanitario. Democratici e repubblicani ora hanno un piano: ognuno il suo, diverso e a volte cavilloso, realistico o troppo conservatore.
Un piano ce l’ha Hillary Clinton che 13 anni fa spinse il marito in un programma senza futuro e bocciato dal Congresso. Quella riforma che tutti chiamarono Hillarycare non esiste più: la candidata democratica l’ha trasformata in un programma che prevede la copertura universale, ma non necessariamente pubblica. «Ritengo che tutti, ogni uomo, donna e bambino, abbia diritto a un’assistenza sanitaria di buona qualità e a prezzi accessibili». Il piano costerà 110 miliardi di dollari all’anno: il punto centrale è il «mandato individuale», ovvero l’obbligo di avere l’assicurazione medica. Le aziende dovranno garantire ai dipendenti un’assicurazione medica, in cambio di sgravi e agevolazioni fiscali. Ma la Clinton pensa anche a ridurre i tagli alle imposte per chi guadagna più di 250mila dollari, per dare più incentivi a chi ha redditi inferiori e decide di stipulare una polizza. Un altro punto chiave del suo piano è il contributo federale per aiutare le persone più bisognose a pagare il premio.
Oggi tra i 45 e i 47 milioni di americani non hanno copertura sanitaria. Non sono i più poveri: per loro c’è il Medicaid, il programma di assistenza pubblica che prevede cure gratis nelle strutture ospedaliere. Non sono gli anziani: usufruiscono di un altro piano nazionale e pubblico, il Medicare, esteso anche a tutti i dipendente pubblici. Non sono i benestanti che si possono permettere un’assicurazione privata o ce l’hanno come benefit della loro azienda. Sono gli americani della bassa middle-class che non se la sentono di spendere per pagare una polizza o addirittura scelgono di non averla. È a loro che puntano i candidati alla Casa Bianca. A loro che fanno parte di un sistema imperfetto, ma comunque carissimo: duemila miliardi di dollari all’anno. Vogliono migliorarlo tutti, il problema è come. Perché nessuno davvero in America vorrebbe seguire un modello europeo. Obama vuole garantire l’assistenza pubblica a tutti i bambini, indipendentemente dal reddito dei genitori. Quello che più si avvicina alla mutua classica è John Edwards: vuole più Stato, immagina Medicare esteso a quante più persone possibili e interventi del governo per calmierare i prezzi delle polizze. Rudy Giuliani ha definito «socialista» il programma dell’ex senatore della North Carolina: «Mon è il modo americano di fare, non vogliamo che il governo controlli ogni cosa. Gli Stati Uniti non sono la Francia». Giuliani segue la linea tenuta dalla gran parte dei leader repubblicani negli ultimi anni: non imporre una scelta ai cittadini. L’ex sindaco di New York ha un piano diverso: incentivare la concorrenza tra le compagnie d’assicurazione per avere premi assicurativi più bassi e esenzioni fiscali fino a 15mila dollari per le famiglie meno ricche. Fred Thompson è il candidato più cauto. Ha definito buono l’attuale sistema. Quello che vorrebbe migliorare è la prevenzione e la ricerca per avere medici sempre più preparati. Mitt Romney, invece, è il repubblicano con il piano più dettagliato. In parte se l’è trascinato dal Massachusetts, dove da governatore è stato tra i primi governatori a studiare una via americana alla sanità universale: «È stata una delle cose migliori che ho fatto nella vita». Non vuole aumentare gli americani del Medicare, il candidato mormone. Quello resta per chi è povero. «Gli altri devono entrare tutti nel sistema privato».
Il principio seguito in Massachusetts è stato questo: uno, in quanto persona, non ha diritto alla salute; anzi non deve esporre la collettività a spese inutili. Chi non è assicurato non fa prevenzione e, quindi, costringe poi la comunità ad accollarsi spese d'interventi d'urgenza o cure croniche.

Allora tutti devono avere la copertura sanitaria: per ottenerla Romney punta a detrazioni fiscali per chi stipula polizze d’assicurazione e obbligo delle aziende a pagare un programma sanitario ai dipendenti in cambio di sgravi fiscali. E poi una punizione per chi un’assicurazione se la può permettere, ma non ce l’ha: deve anticipare allo Stato quello che potrebbe costargli in caso d'emergenza.

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