Riforme, Bertinotti vuole stoppare il dialogo

Bossi non si fida: il vero obiettivo è rafforzare il governo Prodi

Adalberto Signore

da Roma

Prima l’incontro tra Vannino Chiti e i colonnelli della Lega, poi l’apertura di Luciano Violante durante l’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali della Camera e infine la tavola rotonda organizzata a Montecitorio da Pier Ferdinando Casini. A guardarlo così, il dibattito sulle riforme pare essere entrato davvero nel vivo. Con molte prove tecniche di dialogo e l’intervento di quasi tutti i leader politici. Insomma, avanti tutta. Almeno a parole.
Nei fatti il panorama pare ben più complesso, come d’altra parte certifica Fausto Bertinotti. «È necessaria una pausa di riflessione», spiega il presidente della Camera. Anche perché, aggiunge, «manca il grado minimo di coesione necessario per affrontare certi problemi nel quadro di una nuova stagione costituente». Una posizione, quella del leader del Prc, condivisa da tutta la sinistra radicale, dal Pdci ai Verdi. È chiaro, dunque, che le aperture del governo (con le ambasciate del ministro delle Riforme Chiti) e quelle della maggioranza (con Violante) non possono che lasciare una certa perplessità nelle fila del centrodestra. E della Lega in particolare, eletta dall’Unione «interlocutore privilegiato».
D’altra parte, già nei giorni scorsi, Umberto Bossi aveva manifestato tutti i suoi dubbi. In primo luogo, aveva detto ai suoi, perché «ancora non si è capito chi nell’Unione ha in mano il pallino della trattativa». E poi - concetto ribadito ancora ieri - perché «il tavolo delle riforme ha il solo obiettivo di tenere in piedi un altro tavolo: quello di Palazzo Chigi». Insomma, secondo il leader della Lega l’interesse principale di Romano Prodi sarebbe quello di trovare nel dialogo sulle riforme quella legittimazione che la sua maggioranza fatica ancora a dargli. Perché è ovvio - ragiona uno degli uomini più vicini a Bossi - che «se davvero si apre un confronto il primo a uscirne rafforzato è il governo». Considerazioni queste, condivise pure da Silvio Berlusconi.
È in questo clima di diffidenza generale, dunque, che si apre formalmente la partita sulle riforme. Su ben tre tavoli. Si inizia di mattina, quando nella sala del governo di Montecitorio Chiti incontra Maroni e Calderoli. Un colloquio «utile e costruttivo», spiega il ministro delle Riforme. Nel quale l’esecutivo mette sul piatto la sua disponibilità su federalismo fiscale e modifica del Titolo V. Conferma l’apertura il capogruppo della Lega alla Camera. Con un corollario. «Non si capisce quando - dice Maroni - e che tipo di riforma. Quindi, non si capisce se si farà». E ancora: «Siamo disponibili a dialogare, ma piuttosto scettici sulla possibilità che si riapra il percorso delle riforme. Chiti ci ha detto che forse si prenderà un’iniziativa, ma francamente mi sembra una cosa molto ipotetica, lontana nel tempo e di contenuto modesto. Tutto il contrario di quello che noi pensiamo serva». Calderoli, invece, per manifestare la sua perplessità si affida a una metafora un po’ colorita. «Prima vedere tappeto - dice il vicepresidente del Senato - e poi comprare cammello». Finora, spiega, «ci hanno fatto vedere solo i depliant». E «quando vai a prenotare le vacanze vedi spiagge immacolate e alberghi da sogno» ma poi «arrivi e scopri che ti hanno messo nel sottoscala...». Il coordinatore delle segreterie della Lega manda anche un messaggio all’azzurro Sandro Bondi (che aveva detto di vedere nel «corteggiamento dell’Unione alla Lega» solo «il tentativo di disarticolare la Cdl»): «Siamo vaccinati rispetto ai canti delle sirene federaliste. Ad ogni buon conto, mi farò legare come Ulisse con le corde più robuste all’albero del veliero Padania».
In commissione Affari costituzionali, invece, è Violante a chiedere «il confronto prima dell’estate» su quattro temi «già maturi» per avviare «il lavoro vero e proprio dopo le vacanze». E elenca i quattro punti: riforma del Titolo V, federalismo fiscale, legge per Roma capitale e bicameralismo. Roberto Cota, capogruppo leghista in Commissione, raccoglie con la stessa freddezza manifestata a Chiti da Maroni e Calderoli.
Nel pomeriggio, invece, il dibattito si sposta nella tavola rotonda organizzata da Casini. Con la Lega che rincara la dose per non essere stata invitata. «Ci offrono di prendere la parola al termine degli interventi, cioè come pubblico. Dopo il danno, la beffa!», dice un furibondo Maroni. Il leader dell’Udc, invece, auspica un «confronto serrato senza mediocri tatticismi» perché «la Costituzione non può essere terreno di lotta politica contingente». Concetto ribadito pure da Dario Franceschini, capogruppo dell’Ulivo alla Camera. Apre Giulio Tremonti, perché - dice il vicepresidente della Camera e di Forza Italia - «dobbiamo innanzitutto puntare sul federalismo fiscale e sulla revisione del Titolo V e poi vedere se ci sono le condizioni per dialogare sulla legge elettorale e sullo statuto dell’opposizione».

Per Gianfranco Fini, invece, il confronto è possibile solo «se Prodi dice in Parlamento di non essere autosufficiente sul fronte delle riforme». «In assenza di questo passaggio - spiega il leader di An - non credo che si possa avere alcun dialogo».

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