A Caserta è finita in nulla, ma proprio per questo Prodi ha vinto. Hanno ragione almeno due dei partecipanti al seminario versaillais, e cioè Boselli, lex craxiano della Rosa nel Pugno e Giordano, il segretario di Rifondazione, che si sta rivelando più tosto di Bertinotti. Ecco le loro sentenze: «Ci sono stati solo rinvii» (Boselli); «Li abbiamo fermati, partita chiusa» (Giordano).
Come si fa a pensarla diversamente? Anche Caldarola, lex direttore dellUnità, riformista razionale e moderato, non ha dubbi: «Di fatto sono state rinviate tutte le decisioni». Marco Follini, ex partner di Casini in via di trasferimento, ha fatto ricorso ai suoi ricordi letterari: «È sembrato di vedere Aspettando Godot».
Non ce nè uno, di quelli che erano dentro la Versailles dei Borbone o di quelli che erano in attesa dei risultati, che non sia deluso. Padoa-Schioppa - riferisce un caustico cronista di solito bene informato - si sarebbe lamentato con Prodi: «E ora che figura faccio?». Verrebbe voglia di dirgli: quella che merita chi ha gettato alle ortiche il suo passato di liberista (vero o falso che fosse). E diamo anche un parziale riconoscimento a Repubblica, che almeno un titolo che sta ai fatti, sia pure relegato in pagina interna, lo ha stampato: «Promesse, ambizioni, equivoci va in scena il governo di Caserta».
Potremmo continuare con questa miniantologia di commenti, a riprova che non siamo noi a definire un «flop» il seminario di Caserta, che di splendido ha avuto solo la residenza regale. Ma sì, lunico che ha vinto, riconosciamolo, è Prodi, che ha messo in scacco le due ali forti del centrosinistra, Fassino e Rutelli, i quali tornano, loro sì, a casa con le pive nel sacco.
Bisogna confessare che Prodi lo abbiamo sottovalutato. Non è un genio politico, è vero, ma si sta rivelando un gran furbo, possiede la scaltrezza e la testardaggine dei montanari (è di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, patria del poeta quattrocentesco Matteo Boiardo, che fu alla corte estense, e del biologo settecentesco Lazzaro Spallanzani). Li ha giocati tutti. Un aiuto glielo ha dato Eugenio Scalfari, gran consigliere che, prima di Caserta, lo ha esortato a «farsi dittatore democratico» per evitare che siano i suoi stessi soci a defenestrarlo.
Cè riuscito, non cè dubbio. È andato a Caserta sapendo benissimo delle pretese dei suoi «proci» e li ha stoppati facendo ricorso ai «niet» della sinistra radicale, e tutti gli altri, da Fassino a Rutelli, da DAlema a Mastella, da Padoa-Schioppa a Bersani, da Gentiloni a Pollastrini, hanno subito ben sapendo che una loro ferma reazione avrebbe prodotto la disintegrazione del governo.
Non è cosí? Mi sia permessa unaltra citazione. Massimo Giannini, commentatore politico di Repubblica, indubbiamente bravo (anche se non sono daccordo con lui), in un suo editoriale di sabato intitolato «Aspettando il colpo dala», spiega, nel finale, che cosa vuol dire riformismo per chi sta a sinistra (ma anche per chi sta a destra, mi permetto di eccepire»: «commissariare il Policlinico di Roma... prepensionare qualche decina di nullafacenti nella scuola, nei ministeri, negli uffici pubblici... migliorare i servizi», eccetera. Conclude: «Aspettiamo con fiducia che lalbero dellUnione maturi. Se il Cristo di Levi si è fermato a Eboli, il centrosinistra di Prodi non si può fermare a Caserta».
E invece sè fermato, il colpo dala non cè stato. È lapalissiano, le ali non ci sono, e senza non si vola. Ci sono, appunto, tante «ambizioni» e tantissimi «equivoci», che al massimo partoriscono come sta avvenendo, pessimi compromessi. Altroché se si è fermato. Perché se avesse provato a muoversi, sarebbe finito in pezzi.
Le delusioni sono tante a sinistra, eppure Prodi, assistito dal suo portavoce Sircana, si dice soddisfatto. Si capisce: lui per ora ha vinto, si sente un po «dittatore democratico». Dove sono gli altri soddisfatti?
Ma la commedia non finisce qui. Si aspetta Godot.
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