Riformisti e «radicali» d’accordo: peggio di così non si poteva iniziare

da Roma

È vero: non sono ancora partiti, ma il fatto è che «sono proprio partiti male». E chi ritiene di aver «lottato contro Berlusconi non solo per quello che fa, ma per come lo fa», oggi si trova in imbarazzo. La confusione è grande sotto il cielo, ma nella metà di centrosinistra impazza. Siamo già al «disincanto», come scriveva ieri Giorgio Cremaschi su Liberazione, organo rifondatore? Molti propendono per il no, ma solo perché non si erano lasciati «incantare». Eppure, ieri, il sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, è sbottato: «C’è un fatto sociologico, storico, obbiettivo: Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, oltre il 40% del pil, 20 milioni di anime... Hanno un solo ministro. Un fatto del genere è assolutamente unico nella storia politica mondiale. È un dato di fatto: possono prenderlo in considerazione o farne a meno, ma che Lombardia e Veneto abbiano un solo ministro mi pare una cosa enorme...».
Scelta dei ministri, dunque. E anche il numero dei ministeri: tanto da portare il Riformista a vedere la prima controriforma nel «fare a pezzi la legge Bassanini sulla razionalizzazione dei ministeri». Ispiratore dell’assunto, il sociologo Luca Ricolfi, da tempo acuto critico della sinistra. Ricolfi rileva che la debolezza di Prodi è emersa lampante nella battaglia ministeriale. «La vera notizia è l’aumento dei ministeri», dice, accusando il premier di aver disatteso i primi tre traguardi: la riduzione dei ministeri, la promessa di inserire nove donne nell’esecutivo, la riduzione dei costi della politica. Altra ala critica è quella che fa capo all’economista Tito Boeri, direttore della fondazione Rodolfo Debenedetti e del sito lavoce.info. Boeri in prima persona non si sbilancia, ma lascia parlare gli articoli del sito. Tra i quali uno di Bruno Dente denuncia la creazione dei quattro ministeri: «Peggiore inizio non poteva esserci». E un altro, di Chiara Saraceno, delusa tanto per «lo spezzettamento dei ministeri che produrrà enormi inefficienze» quanto per i temi non trattati dal premier nella sua presentazione alle Camere: «Il reddito minimo di inserimento, la riforma degli ammortizzatori sociali, i diritti civili, la laicità dello Stato».
Ma il vero cahier de doléance è quello compilato dall’ex leader Fiom, Cremaschi. Al primo punto, il mancato impegno di maggiore rappresentanza delle donne. Al secondo, il numero di poltrone, poltroncine e strapuntini: «Il centrosinistra - scrive Cremaschi - ha costruito una compagine governativa di cento persone, se l’avesse fatta di 70, il governo funzionerebbe meglio e il Paese avrebbe avuto un piccolo, ma simbolicamente forte segnale di rigore in alto. Il peso preponderante del Partito democratico in costruzione e lo scontro di potere al suo interno hanno invece determinato una compagine governativa pletorica e con scelte prive di razionalità». Connesso a questo punto, la scarsa rappresentanza concessa alla sinistra radicale, «sia rispetto alla sua forza reale, sia, ancor di più, rispetto ai sentimenti della grande maggioranza di coloro che hanno votato per il centrosinistra». Come ha scritto Scalfari, «in tutti i posti strategici il potere d’indirizzo è saldamente in mano alle componenti moderate e riformiste dell’Unione».

Cremaschi cerca anche di guardare ai fatti reali, cioè le dichiarazioni, e rileva contraddizioni prodiane su Irak e legge 30. E ancora lo stato confusionale su temi fuori-programma, quali Afghanistan, Cpt, scuola. Una sfilza di dubbi che giustificano abbondantemente il suo disincanto.

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