Ci sono rimasti lezioso, leziosaggine, ma si è perso questo sostantivo che ne sta alla base. Siamo nell'affascinante universo delle sfumature.
Lezio è “atto o modo pieno di mollezza o d'affettazione, usato da chi si studia di parer grazioso” (Pianigiani), “Atto svenevole, smanceria, mossetta affettata” (Hoepli), per la Crusca è “usato da donne per parer graziose o da fanciulli usi a esser troppo vezzeggiati”, per il Devoto Oli è “atto affettato di svenevole complimentosità o di schifiltosa diffidenza”.
Il Tommaseo cita dalla Crusca la parola Cincipotole, che significa “cianfruscole, frescherie” e propriamente – dice - “s'intendono i lezii e le smancerie dei vagheggini”. Il Cardinali Borrelli osserva che nel plurale “per viziosa varietà ortografica trovasi usato Lezzi in cambio di Lezii, nel significato appunto di Vezzi, cortesie e carezze eccedenti ed affettate”.
Per il Treccani l'aggettivo lezioso è riferito a persona “che parla, si muove, si comporta in modo affettato e svenevole, con una grazia esagerata e innaturale, che riesce perciò inopportuna e fastidiosa”. Tra gli esempi anche “un commesso troppo lezioso”, che ben rappresenta l’opportunismo che si respira in certi negozi.
La parola anticamente era femminile, Lezia, ed è fatta comunemente derivare dal latino delicia – delizia, galanteria – che può aver perso il de per aferesi; ma si registrano anche altre ipotesi, quali l'origine nel latino illicium, al plurale illicia, che significa adescamento, attrattiva, lusinga; solo il Treccani si richiama al latino dilectio, affetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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