Roma

Rignano, tra contraddizioni e testimonianze

«Non ho mai visto quei bambini. Non conosco gli altri indagati. Eppoi come avrei potuto assentarmi dal distributore durante l’orario di apertura?». Questa la difesa del benzinaio cingalese Kelun Weramuni Da Silva durante l’interrogatorio di ieri davanti al pm Marco Mansi e al gip Elvira Tamburelli. Il suo legale, Ettore Iacobone, parla di «un tragico errore di persona». «Ci sono quindici denunce di genitori - continua l’avvocato - e altrettante dichiarazioni di minori. Ebbene, soltanto in due testimonianze altrettanti bambini parlano “dell’uomo nero”. In un’occasione una bambina chiama il mio assistito Maurizio, un altro lo chiama Giovanni. In un caso viene descritto con il codino, ma Da Silva non ha mai portato i capelli in questo modo».
Molte le contraddizioni della maxi inchiesta che ha sconvolto Rignano Flaminio. Puntuali, d’altro canto, i riscontri raccolti dagli inquirenti, a cominciare dalle testimonianze dirette (bambini, genitori, estranei) alle perizie mediche su bambini effettuate in diversi ospedali. Gli innocentisti, come gli stessi sei indagati (tre maestre, una bidella, il marito di un’insegnante e il 29enne cingalese), puntano soprattutto sulla mancanza di prove certe, sull’impossibilità di uscire da scuola senza essere notati, sul fatto che alcuni bambini non erano nelle classi delle maestre coinvolte. In particolare si contesta ai magistrati l’assenza di registrazioni durante gli «interrogatori» sulle presunte vittime, indagine effettuata dal perito del Tribunale, la psicologa Marcella Battisti Fraschetti. Infine la mancanza di elementi di colpevolezza durante il periodo (luglio-ottobre) in cui i telefoni dei sei erano sotto controllo. Come le loro abitazioni e la materna Olga Rovere dove si sarebbe compiute le violenze.
Un quadro che lascerebbe pensare a un procedimento indiziario se in questa storia agghiacciante non fossero spuntati due testimoni chiave. Un’agente della polizia municipale nella primavera 2006 nota un gruppo di bimbi uscire dalla mensa della Rovere in orario scolastico. Insospettita chiede spiegazioni e gli alunni parlano di una fantomatica gita alla fattoria, mai programmata. E la colf di casa Scancarello-Del Meglio nel periodo 1999-2001 che ricorda di aver visto un giorno la maestra Patrizia rincasare assieme a due bambine di 3-4 anni con ancora grembiule e zainetto. La donna, interrogata a febbraio, nega di aver mai portato in casa bambini della sua classe o di altre. A questo si aggiungono le analisi sui capelli di due bambine che confermano la somministrazione di sostanze psicotrope, come gli antidepressivi prescritti alla maestra dal suo medico di base, le perizie sugli organi genitali di almeno sei bimbi (non due come sostengono i legali degli arrestati), i ricordi inquietanti che indicano precise circostanze che i bambini non avrebbero potuto conoscere.

Due vittime, inoltre, riconoscono Kelun e Scancarello. Psicosi collettiva?

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