Rimbaud, feroce e fuggiasco, era braccato (da se stesso)

Una selezione per nulla scontata delle opere dello scrittore francese. Vittima della sua stessa leggenda

Rimbaud, feroce e fuggiasco, era braccato (da se stesso)
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Il Veggente, il vagabondo, il maledetto, il ragionato sregolamento di tutti i sensi, insomma il mito di Arthur Rimbaud, a sedici anni poeta già baciato dal talento, a ventisei commerciante in Africa, a trentasette moribondo in Francia, accudito dalla sorella. Naturalmente, il mistero è il rifiuto di essere poeta, a cosa serve la poesia se non è un'avventura, e a cosa serve la vita se la si affronta con cuore troppo tiepido? Così Rimbaud decide di partire, una, due, tre volte, fino alla fuga definitiva in Africa. Da quel momento, all'apparenza, è soltanto un mercante, del poeta non resta niente, dello scrittore neanche. C'è l'articolo di un esploratore, inviato a una rivista francese. Le foto sono poche e rovinate. A fatica si intuisce il volto del poeta.

Davide Brullo, poeta, raccoglie ora per Crocetti editore Le più belle poesie di Arthur Rimbaud (pagg. 96, euro 9). Trattandosi di Brullo, la scelta non poteva che essere tanto personale quanto illuminante, e include anche pezzi per niente scontati, ad esempio, dalle Prose evangeliche o da Album Zutique. Brullo vuole fuggire con Rimbaud, lo si capisce dalla vibrante introduzione, e abbandonare "il viale degli oziosi, le osterie dei pisciaversi, l'inferno delle bestie". A vantaggio del "commercio dei furbi" e del "buongiorno dei semplici", scrive Brullo riprendendo Rapsodia selvaggia di Adriano Marchetti, un libro di "stravagante bellezza" (Brullo).

Cosa possiamo aggiungere? Si deve leggere anche il Rimbaud africano, mettendo mano all'imponente epistolario curato nel 2014 da Vito Sorbello per le edizioni Aragno (Arthur Rimbaud, Non sono venuto qui per essere felice. Corrispondenza 1870-1891, 2 volumi, euro 50). Oltre mille pagine in cui Sorbello raccoglie tutte le lettere (edite e inedite in Italia) del poeta, accompagnate dalle testimonianze indirette che possono aiutare a ricostruire il quadro biografico. Se Rimbaud ha deciso di abbandonare la letteratura con un certo disprezzo, questo fatto aggiunge molto alla comprensione della letteratura stessa. In Abissinia, "io è un altro" per davvero. In questo caso "io" è un trafficante d'armi, un esploratore, un uomo pratico che legge solo manuali tecnici. Nelle lettere alla famiglia c'è un amaro disincanto anche per la fase "africana" della sua vita. Rimbaud lo ammette schiettamente: "È evidente che non sono venuto qui per essere felice". Ha scoperto che la realtà non gli basta. Proprio come la poesia. Il 17 luglio 1890, Laurent de Gavoty, direttore di una piccola rivista marsigliese, France moderne, gli indirizza questo messaggio: "Signore e caro Poeta, ho letto i suoi bei versi: questo per dirle che sarei felice e fiero di vedere il capo della scuola decadente e simbolista collaborare con la France moderne, di cui sono il direttore".

L'oscuro "infortunio" della poesia e l'altro se stesso ormai sepolto tornano a ripresentarsi a Rimbaud, giunto ormai agli sgoccioli. Il trafficante d'armi non risponde. Ma il poeta non strappa il biglietto come era solito fare in occasioni simili. Lo piega con cura e lo mette da parte.

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