Paolo Bracalini
Gian Marco Chiocci
Più esposti e le inchieste del Giornale sulle stranezze della gestione finanziaria dell’Idv sono confluiti in un fascicolo della Corte dei conti. I magistrati contabili della procura generale stanno indagando sul «tesoro» dell’Idv e su quale soggetto abbia effettivamente richiesto e percepito i fondi elettorali destinati al partito di Antonio Di Pietro: la notizia viene confermata dalla Corte dei conti: «L’istruttoria - spiega un alto magistrato - concerne varie questioni, ma non posso dire di più». Il filone è quello aperto inzialmente dalla denuncia dei legali di Veltri e Occhetto, e seguita in prima istanza da un pool di finanzieri che da mesi sta provvedendo all’acquisizione di numerosi atti: «Sì, confermo. L’istruttoria è aperta. Altro però non posso dire». La vicenda è nota ai lettori del Giornale, che per primo ha evidenziato le stranezze nella contabilità dell’Idv. Se venisse confermato che un’associazione di tre soli soci, Di Pietro, un familiare e un fiduciario, che si chiama «Italia dei Valori» come il partito, si è sostituito ad esso sfruttando i controlli solo formali della Camera, richiedendo e percependo in sua vece questi fondi pubblici, sarebbe un fatto senza precedenti. È la famosa (ma mai veramente chiarita) questione dell’ambiguità tra partito Italia dei Valori (quello che elegge i parlamentari) e associazione Italia dei Valori (il soggetto giuridico che incassa i soldi) distinzione già riconosciuta dal Tribunale di Roma che si è pronunciato in proposito nel 2008, nel quadro della causa civile che vedeva opposti l’Idv e il Cantiere, la formazione politica di Veltri, Occhetto e Chiesa che si era presentata alle Europee 2004 in «ticket» con l’Idv. Una distinzione talmente palese, secondo il Tribunale, che «il partito Idv» venne dichiarato «contumace» al processo, essendosi presentato in sua sostituzione (come se fosse il partito) solo l’«associazione Idv», di cui Antonio Di Pietro, la moglie Susanna Mazzoleni e la fidata tesoriera Silvana Mura, costituiscono la «totalità dei soci» come si legge nella «delibera di associazione» approvata un giorno prima di incassare i rimborsi per le europee. La questione, come si vede, non è irrilevante. E la Corte dei conti se n’è accorta. L’indagine della procura contabile mira a chiarire una volta per tutte se la differenza tra associazione e partito possa configurare un’irregolarità nel finanziamento dell’Idv. È la domanda che il Giornale pone da almeno otto mesi. Ma oltre ad essere un’inchiesta giornalistica la vicenda delle casse Idv è anche una questione di trasparenza pubblica, a maggior ragione per un partito che ha fatto della trasparenza la propria bandiera. La Corte dei conti sta lavorando sulla documentazione prodotta dall’avvocato Mario Di Domenico, già socio dell’Idv e ora grande accusatore di Tonino, e anche sull’esposto degli avvocati del Cantiere, che nel luglio del 2008 hanno fatto pervenire al procuratore generale della Corte un «Invito a provvedere in autotutela» per il movimento ex-alleato di Di Pietro. I legali di Veltri & Co. avevano evidenziato, in quella nota, come «nella più totale assenza di qualsiasi controllo da parte dell’Ente pagatore (Montecitorio, ndr) sulle condizioni minime di legittimazione a ricevere i pagamenti dei rimborsi elettorali, essi vengono conseguiti da parte di una associazione formata da sole tre persone, che consegue tali ingenti fondi nella inesistenza per giunta di qualsiasi rendiconto».
Di Pietro, interrogato a suo tempo dal Giornale, aveva risposto con una lunga lettera a Libero annunciando di aver disposto il cambiamento dello statuto Idv, cioè del documento che conteneva quella ambiguità. Di Pietro annunciò allora che, dopo quella modifica, l’associazione e il partito «sono la stessa cosa», ma nel farlo si dimenticò di pubblicare guardacaso anche il verbale notarile con cui era stato disposto dal partito quel cambiamento statutario. Perché? Ci sarebbero voluti altri sei mesi per scoprirlo, e non grazie a Di Pietro che anzi diede precise istruzioni al suo notaio di fiducia di non fornire al Giornale quel verbale, sebbene si trattasse di un atto pubblico. Il motivo è presto detto: quel verbale contiene solo una firma, quella di Di Pietro, in qualità di presidente dell’associazione Idv. In sostanza vuol dire che Di Pietro, per fugare i dubbi sulla gestione personalistica dell’Idv, ha modificato di sua iniziativa e in perfetta solitudine lo statuto dell’associazione come se fosse quello del partito, nelle vesti non di presidente (magari autorizzato da una delibera assembleare o da una disposizione degli organi del partito), ma solo come titolare dell’associazione di famiglia.
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