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Il rimborso spese dell’onorevole rimane un segreto

Il rimborso spese dell’onorevole rimane un segreto

Il rimborso non si tocca. Né si è tenuti a giustificarlo. La Camera dei deputati ha bocciato la proposta, avanzata dalla radicale Rita Bernardini (nella foto), di sostituire il rimborso spese forfettario di 4.190 euro, destinati agli onorevoli per mantenere i loro rapporti col collegio d’appartenenza, con il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. Senza sorprese il risultato: 49 sì, 428 no. Come spiega il quotidiano Italia Oggi, che insieme ai radicali s’è fatto nei giorni scorsi alfiere della proposta di legge, le giustificazioni di chi si opponeva alla modifica hanno toccato picchi di involontaria comicità. Il passaggio dal rimborso forfettario al rimborso delle sole spese effettivamente sostenute avrebbe infatti potuto determinare «un significativo aggravamento delle procedure correlate sia per il deputato sia per gli uffici della Camera», ha spiegato per esempio il deputato questore Antonio Mazzocchi (Pdl). Come dire: troppa fatica per gli onorevoli presentare la ricevuta fiscale di ogni spesa; troppa fatica per gli uffici della Camera (la quale conta circa 2mila dipendenti) controllarle.
Non ha avuto successo nemmeno la posizione intermedia di chi chiedeva almeno di rendere pubbliche le spese: non ai fini del rimborso (sarebbe stata mantenuta la cifra dei 4.190 euro) ma per una esigenza di trasparenza. Già, perché il sistema attuale incoraggia paradossalmente a lavorare di meno. Il motivo lo ha spiegato l’incredulo neodeputato Giovanni Battista Bachelet: «Per alcune spese, giustamente, come quelle dei treni o degli aerei, chi fa politica (cioè viaggia e spende) spende. Viceversa, con il rimborso forfettario, c’è un premio inverso: meno si lavora e si spende per la politica, più soldi vanno a finire nel nostro stipendio».

Una considerazione ragionevole? Forse, semplicemente una considerazione ingenua.

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