Rimini: più che una festa, un funerale per la Cgil

Come tutti gli italiani sono stato bombardato dalle immagini televisive del congresso della Cgil. Ho una certa età e quindi posso ricordare quelli di Di Vittorio e di Lama e cogliere le differenze. Allora bastava un cinema e un podio sul palco, oggi è tutto faraonico, megaschermi, allestimenti più eclatanti di quelli del Festival di Sanremo. Prima se c’era un ospite era il delegato del sindacato francese o spagnolo, oggi gli ospiti sono tutti Vip e molti dello spettacolo. D’altronde il mitico comizio del Primo maggio è diventato il concerto del Primo maggio e a piazza San Giovanni non ci va più la classe operaia ma i ragazzetti e le ragazzette che vogliono ascoltare i divi della musica pop. Mentre prima si ascoltavano gli oratori che parlavano di lavoro. Anche al congresso della Cgil si è parlato poco di lavoro e molto di politica e il sindacato, credo per la prima volta nella sua storia, ha stretto un patto elettorale e di governo con uno schieramento politico alla faccia dell’indipendenza e dell’autonomia della sua gestione. Io mi chiedo se quello svoltosi a Rimini sia stata la celebrazione dei cento anni del sindacato o invece quella del funerale del sindacato. Le rose «century» vanno bene sia per un compleanno che per le onoranze funebri.


Buona la seconda, caro De Filippi: quello di Rimini è stato il sontuoso, spettacolare de profundis della Cgil. Ridotta ad avere più pensionati che lavoratori attivi fra gli scritti, arroccata nella difesa a testa bassa (e occhi chiusi) del «posto» e incapace di suggerire o quanto meno esaminare proposte per creare lavoro; scavalcata e messa nell’angolo da uno sciame di piccoli, attivissimi sindacati autonomi, costretta, pur di riempire la piazza il Primo maggio a rinunciare ai comizi in favore dei concerti rock, da tempo la Cgil non era più che una balena spiaggiata. Imponente, solenne anche. Ma arenata. L’abbraccio fra Romano Prodi e Guglielmo Epifani non ha fatto che sigillare la fine: ora la Cgil è solo uno dei tanti partiti che costellano dell’Unione e che tirano - «Su fratelli, su compagne, su, venite in fitta schiera...» - la volata al suo leader.
Fra gli atti notarili del decesso ce n’è uno che la dice lunga, caro De Filippi: l’attribuzione della tessera onoraria della Cgil e di quella della Spi, la federazione dei pensionati, a Oscar Luigi Scalfaro, applauditissimo, verrebbe da dire osannato, ospite del congresso di Rimini. Epifani non poteva scegliere uomo migliore che rappresentasse così a tutto tondo la classe lavoratrice e l’universo dei pensionati. Il nostro beneamato ex capo dello Stato non ha infatti mai praticamente lavorato.
Se si escludono, nel primissimo dopoguerra, un paio d’anni in Magistratura (giusto il tempo per chiedere e ottenere seduta stante una o due condanne alla pena di morte), ha trascorso la sua vita in Parlamento prima e al Quirinale poscia.

In quanto alla pensione, non è certo la «minima», ma assomma a qualcosa come 18mila euri mensili, se ricordiamo bene. Con in più l’auto blu a vita, così da consentirgli di risparmiare un po’ su bollo, benzina, assicurazione, abbonamento all’Aci e chauffeur.
Paolo Granzotto

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