Risse e feriti: uno spot per gli Europei. Del 2090

Una bella domenica di sport. Qualche accoltellamento, un ferito grave, un’automobile data alle fiamme con signora tunisina al volante e figli appresso terrorizzati, aggressioni, cassonetti incendiati, vetrine infrante, tumulti di piazza, tribuna stampa trasformata in cloaca massima, strepiti, insulti, bestemmie. Totale: uno spot fantastico per la candidatura italiana ad ospitare il campionato europeo per nazioni. Del 2090. Se dicessi vergogna è poco, nulla. Ci siamo fatti riconoscere dal resto del mondo collegato per la partita del secolo, per la festa de noantri, per il derby della capitale della civiltà. Solita storia: zona dell’Olimpico in stato d’assedio, città devastata dai disordini, incidenti dentro e fuori l’impianto. Poi, al risveglio, Maurizio Beretta, per gli ignari e distratti, presidente della Lega calcio, ha spiegato che pochi facinorosi non rovinano l’organizzazione che il nostro football si è dato.

Ora il dirigente manager con la erre moscia di eredità agnelliana, dovrebbe frequentare non soltanto le tribune d’onore o di autorità (buone pure quelle) ma regalarsi un’avventura in curva, in parterre, nei distinti, entrare in una latrina, provare a parcheggiare l’auto non in zona vip e riservata. Potrebbe fare la stessa esperienza a Madrid, a Londra, a Monaco di Baviera, negli stessi siti succitati, e capirebbe che i facinorosi, come Beretta definisce i delinquenti, abitano anche in Spagna, in Inghilterra, in Germania ma sanno benissimo a che cosa vanno incontro in casi di incidenti e affini e sanno anche che allo stadio ognuno deve occupare il posto assegnatogli e che è severamente proibito il lancio di bengala, fumogeni, bombe carta.
In Italia no, in Italia lo stadio è la zona franca dove tutto è lecito, perché lo spettacolo va avanti, al massimo si interrompe se uno bestemmia e viene beccato dalle telecamere beccandosi la squalifica. C’è chi si preoccupa del ranking ma qui siamo tutti in un ranch.

A Roma, a Milano, a Torino, a Verona, a Cagliari, a Napoli, a Bari, dovunque e comunque, il calcio è il bronx di tutti gli sport, è la suburra del razzismo e dell’ignoranza, è il luogo di raduno degli hooligani a spaghetti, vino e coca, è il corner dove si spaccia droga. Se poi c’è anche la partita tanto meglio, anzi tanto peggio. Quando Fabio Capello, nei mesi scorsi, aveva dichiarato che il calcio italiano è sotto schiaffo degli ultrà, era stato criticato, censurato, rimproverato dai soliti noti che devono tutelare la cadrega e l’incarico.
I misfatti di Roma, come altri cento in ogni dove, sono la conferma esemplare delle parole del commissario tecnico della nazionale inglese.

Il comportamento dei giornalisti in tribuna stampa, persone e figuri faziose, isteriche, urlanti, celebrati anche in tivvù e alla radio, ormai è diventato un segno distintivo, così come le isterie dei calciatori a qualunque decisione arbitrale, anche un fallo laterale è motivo di strilli e berci.

Beretta, il manager di cui sopra, dice che il fenomeno non inquina il sistema.

Qualcuno dovrebbe spiegarlo all’accoltellato di Roma, alla signora tunisina con l’automobile incendiata, alla bambina ferita, alla vedova Raciti, ai parenti del tifoso Sandri, ai famigliari di Spagnolo, agli altri mille bersagli dei “facinorosi” che puntualmente si ripresenteranno nelle strade, nelle piazze e negli stadi; sono loro il nostro meraviglioso pubblico o no? Le tre scimmie continuano a non vedere, a non parlare, a non sentire.

La candidatura dell’Italia ad ospitare i campionati d’Europa è stata depositata all’Uefa, il dossier contiene schede e documentazione interessante.
È un libro bugiardo e nessuno ha il coraggio di ammetterlo.

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