Mentre San Rocco, patrono degli appestati, è rappresentato con un bubbone sulla coscia, il suo omonimo Buttiglione il foruncolo ce l'ha nel cervello. Nei giorni scorsi, in una raffica di interviste a quotidiani e tv, il presidente dell'Udc, già eminente filosofo, ha mostrato che il compimento dei 60, nel giugno di quest'anno, è stato fatale per la sua lucidità.
Esercitandosi nel caso di Dino Boffo, Buttiglione ha sostenuto che i cattolici, indignati contro il Giornale, Feltri e Berlusconi, stanno lasciando in massa il centrodestra per convergere sul suo partito. La «diffidenza» già c'era, dice l'ex filosofo, per le storie d'alcova del Cav e si è moltiplicata con le rivelazioni sul direttore dimissionario dell'Avvenire. Così, dà per certo l'esodo dei cristiani dal Pdl all'Udc delle due mammole, Pierferdy Casini e Lorenzo Cesa, esempi di preclare virtù.
Poiché nessuno ha la palla di vetro, tutto può essere. Ma, senza scomodare la filosofia, solo esercitando il semplice buonsenso, Rocco poteva essere più prudente. Perché mai i cristiani dovrebbero prendere le parti di un giornalista che ha molestato una donna per ragioni sessuali e voltare le spalle a un vivace ultrasettantenne che le signore invece le tratta con i guanti bianchi? Se hanno un minimo di cavalleria continueranno a stare col Cav. Se poi sono solo rigidamente bigotti, storceranno la bocca sia di fronte all'uno sia all'altro. Ci penseranno la prossima volta che vanno alle urne. Ma dire fin d'ora, come fa Rocco, che voteranno Udc è quanto di più antifilosofico e irrazionale ci sia.
Buttiglione, a dispetto dei suoi studi, ha sempre difettato di logica. Molti anni fa, nel 1994, diventato fortunosamente segretario del Ppi (la Dc era stata appena sotterrata da Mino Martinazzoli), il Butti - poco prima di allearsi col Cav - fece contro di lui, appena eletto premier, una campagna forsennata. Se la prese col conflitto d'interessi. «C'è il sospetto che avvantaggi se stesso invece dello Stato», gridò ai quattro venti. Ma dopo avere costretto il Berlusca a farsi da parte per queste ragioni, propose di nominare ministro Gianni Agnelli. Come se il sospetto, buono per il proprietario della Fininvest, non valesse per quello della Fiat. Si capì già allora che ignorava il principio aristotelico di non contraddizione e parlava più spesso a vanvera che sapendo quel che diceva.
Con gli anni è anche peggiorato come dimostrano altre perle disseminate nelle interviste di 48 ore fa. Per l'ex cl e ora dc a tutto tondo, Feltri e il Giornale hanno svelato le magagne di Boffo su mandato del Cav. Ha espresso il concetto con un paio di frasi ad alto contenuto letterario. «Se il cane (Feltri, ndr) morde, la responsabilità è sempre del padrone (il Cav, ndr)». L'idea che un giornale pubblichi una notizia perché è tale, non lo sfiora. «Qual è il mandato del Cav a Feltri?», gli è stato chiesto. «Vincere la gara della degradazione del costume giornalistico e Feltri ci sta riuscendo benissimo». Tipica risposta dell'impunito. Se il Giornale degrada il giornalismo con Boffo, la Repubblica e il Corsera lo esaltano raccontando di Noemi, Papi e la virtuosa signorina D'Addario? La domanda non gli è stata posta, ma un filosofo avrebbe dovuto pensarci da solo e, in qualità di cattolico, invocare su di sé i fulmini del cielo per quanto aveva appena detto. Ma poiché Rocco non è più da tempo filosofo e neppure timorato di Dio come pretende, ha aggiunto un ulteriore vaneggiamento: «Nella logica delle dittature militari (l'attuale regime berlusconiano, ndr), i colonnelli (Feltri e i kapò del Giornale, ndr) non ammazzano i guerriglieri ma chi non si schiera». In cui i guerriglieri da eliminare non si capisce chi siano e colui che non si schiera sarebbe il mite Boffo e il suo Avvenire che hanno cavalcato tutti i pettegolezzi accumulati dalle firme, quelle sì deontologicamente pure, dell'Ing. De Benedetti e del cosiddetto «quotidiano della borghesia lombarda» sito in via Solferino.
C'è solo da augurarsi che dopo un'analisi così serena e neutrale, il Nostro dica dieci Paternostro e venti Ave Maria prima di avvicinarsi ai sacramenti. Nella circostanza, Buttiglione non è stato diverso da D'Alema. La sola differenza è che Rocco ha definito «leninista» lo stile di Feltri che Max aveva invece chiamato «squadrista». La diversità di insulto rivela l'origine di destra e dell'uno e quella togliattiana dell'altro, entrambi però miracolosamente accomunati dalla stessa rabbia antiberlusconiana.
In venti anni di politica, Rocco ha perso tutta l'aureola che aveva prima di entrarci. Era stato preceduto da fama di intelligentissimo, straordinariamente preparato ed eccezionale prodotto del vivaio di don Giussani. Adesso invece vivacchia ai margini del Palazzo al quale si è attaccato perché fuori non saprebbe più cosa fare. Da lustri subisce umiliazioni dai suoi «amici», i vari Casini, Follini e compagnia cantante. Lui ha sempre spinto a destra, gli altri non gli hanno mai dato retta e giocato per sé. Rocco sta lì come l'asino in mezzo ai suoi. Ondivago, umorale, negato per la politica.
Già quando apparve le prime volte sui teleschermi, agli inizi degli anni '90, sulla sua vivacità mentale sorsero dubbi. Aveva, e ha, due occhi persi nel vuoto, espressivi come nocciole sbucciate. Dondola di continuo la testa come per richiamare l'attenzione sulla sede del suo disagio. Un'aria generale da fratacchione, ma capace - come abbiamo visto - di uscite vendicative e antievangeliche.
Quel che però si sapeva di lui, ci ingannò per qualche tempo. Parla sei lingue, compreso il polacco. Era intimo di papa Wojtyla. Negli anni '80, fu tra i consultati per l'enciclica Veritatis splendor. Era titolare di diverse cattedre universitarie. Emergere, si diceva, per i Buttiglione è un dovere. Oltre a Rocco, già erano in vista le sorelle, Angela, allora pacioso mezzobusto e tuttora pezzo grosso della Rai, e Marina, vaticanista del berlusconiano Tg5.
Pugliese di Gallipoli, feudo elettorale di D'Alema, Rocco nacque in una famiglia d'ordine. Papà Buttiglione fu questore e vicecapo della polizia. Lo zio militare era proprio «il colonnello Buttiglione» delle barzellette. Fu Gianni Boncompagni, attirato dalla bizzarria del cognome, a farne una macchietta nello show radiofonico Alto gradimento. Ma papà e zio erano davvero due potenze. Tanto che furono poi bloccati nella carriera, al detto: «Non consegneremo l'Italia ai Buttiglione».
Rocco entrò in Cl quando, seguendo il padre questore a Catania, conobbe il sacerdote don Ciccio Ventorino che capeggiava il movimento ecclesiale cittadino. Trasferito il babbo a Torino, il Nostro rianimò Cl locale e conobbe all'università il filosofo cattolico Augusto Del Noce, padre del suo amico Fabrizio, futuro giornalista, deputato del Polo e super manager Rai.
Diventato vicecapo della polizia, Buttiglione senior traslocò a Roma con la famiglia. Rocco incontrò nuovamente Del Noce, che aveva avuto la cattedra alla Sapienza, e ne divenne l'assistente. Profittò della posizione per un astuto apostolato cattolico in chiave anticomunista.
Dedicò un ciclo di lezione a Karl Marx. Gli studenti, tutti sessantottini, lo presero per un compagno e si innamorarono di lui. Solo a fine corso, il prof rivelò ai ragazzi di essere ciellino. Alcuni lasciarono la sinistra per Cl. «Non avete tradito - disse soave il docente -. Il cristianesimo è la realizzazione del comunismo».
A 23 anni, Rocco sposò Maria Pia, un'iniziata ciellina. Hanno avuto quattro femmine. Per via di amicizie, ebbe in affitto da un ente una bella casa nei migliori Parioli. Oggi, l'ha riscattata. Ben inserito in Italia, partì alla conquista del mondo. Cominciò da Est. Si legò al pretesco «Centro studi sull'Europa orientale» collaborando con i dissidenti della cortina di ferro. Tra loro, il cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla. Fu il suo primo contatto col futuro papa. Poi si rivolse a Ovest. Tramite Renzo De Felice, lo storico che ricollocò Mussolini tra gli umani, conobbe due conservatori americani, Luttwak e Ledeen. Entrambi entrarono poi nella cerchia di Ronald Reagan.
Per riassumere: Rocco era pienamente immerso, in Oriente come in Occidente, negli ambienti della destra anticomunista. Quando di lì a poco Wojtyla divenne e papa e Bush presidente, Buttiglione era l'italiano meglio ammanicato con le due supreme autorità mondiali. Tra le sue amicizie, anche Silvio Berlusconi. Per lui, nel 1978, aveva tenuto dei corsi di formazione per manager delle sue aziende. Grazie a lui, ebbe i denari necessari per fondare Il Sabato, settimanale di Cl. Notare l'ingratitudine.
Da questo apice, Rocco si calò in politica nei primi Novanta. La fine del suo mito cominciò nel modo più ingannevole. Accolto come un salvatore, succedette a Martinazzoli nella guida della Dc-Ppi. La schierò prima come abbiamo visto, contro il Cav. Poi si pentì e volle allearsi col medesimo. Il partito però si divise e fu defenestrato. Creò i Cristiano-democratici uniti (Cdu). Fece pasticci a non finire e, per disperazione, si fuse con l'Udc di Casini. Lui tirava a destra, l'altro faceva il gatto e la volpe con Follini che tirava a sinistra. Prima di capire che era un travicello e non masticava di politica, il Cav lo nominò due volte ministro. Poi cercò di imporlo come Commissario europeo alla Giustizia. Ma per rigidezza chiesastica, Rocco se ne uscì dicendo che l'omosessualità era segno di «disordine morale». Altrettanto bacchettoni, ma in modo opposto, i deputati europei ne bocciarono la candidatura accusandolo di omofobia. L'etichetta gli è rimasta e il filosofo non perde tuttora occasione di pizzicare i gay.
Dalla sconfitta non si è più ripreso. In tv, è oggetto di caricature. La più azzeccata è di Sabina Guzzanti. L'attuale papa non se lo fila. Il fedelissimo Gianfranco Rotondi, oggi ministro Pdl, lo ha abbandonato.
È solo e inutile. Se ogni tanto si agita, sia pure contro il Giornale, è per sentirsi vivo. E noi, nobilmente, lo perdoniamo.
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