Milano - Togliere la polvere al pizzo, all'uncinetto, alle trine da corredo è l'impresa titanica che Dolce & Gabbana hanno felicemente compiuto più volte nella loro carriera, l'ultima delle quali con l'impeccabile collezione per la prossima estate in passerella ieri a Milano Moda Donna. «Abbiamo preso lino, cotone, bisso, organza, chiffon e li abbiamo fatti ricamare come lenzuola, asciugamani e tovaglie. Poi su questi tessuti abbiamo messo dei cartamodelli per costruire un moderno guardaroba estivo invece della classica biancheria da portare in dote», spiegano i due di prima mattina aggiungendo che la maggior parte dei ricami è fatta in Italia, ma alcuni vengono dalla Cina dove la manodopera costa meno. Tanto di cappello al magico duo per l'ammissione, ma questa è un'altra storia. Quella che ci viene raccontata, invece, a parole sembra la solita favola al profumo di zagara con cui da oltre vent'anni Domenico e Stefano alla fine c'incantano, a volte fino alle lacrime.
Però quando arriviamo ai fatti intesi come sfilata si capisce subito quante cose sono cambiate da quel fatidico 1987 in cui i due fecero realizzare dal grande fotografo siciliano, Ferdinando Scianna un leggendario catalogo di ritratti femminili (lei era Marpessa, la più sensuale delle modelle dell'epoca) realizzati tra Caltagirone e Bagheria. Il primo cambiamento è di tipo cromatico: al posto del nero assoluto di allora c'è un bianco che in qualche modo si riempie di colori. Per esempio sui bellissimi tailleur con piccole giacchine a scatoletta compaiono centinaia di cristalli iridescenti e non mancano alcuni modelli con l'inconfondibile animal print da sempre caro ai due designer.
Poi ci sono le forme, sempre quelle (il tubino, l'abito a sirena, le giacche, i pantaloni, le gonne strette e quelle a corolla) ma adesso perfezionate da una competenza sartoriale che ha prima sperimentato e poi cambiato tutte le proporzioni. Certo, è la solita vecchia storia che comincia in Sicilia e finisce nel mondo, ma è una gran bella storia: anche stavolta Dolce & Gabbana sono riusciti come Pirandello a far diventare creatura il personaggio che hanno in testa. Invece Alessandro Dell'Acqua ha fatto un autentico miracolo realizzando in soli due mesi una collezione Brioni perfetta sotto tutti i punti di vista. Chiamato dalla storica griffe romana celebre per la propria scuola di alta sartoria maschile, il bravissimo designer napoletano noto per il suo gusto iper femminile, è riuscito a fondere in ogni modello questa doppia anima. C'erano anche qui moltissimi modelli in pizzo bianco oppure con un'ombra di color tortora sotto, talmente lineari da togliere il fiato: giacche, pantaloni, gonne lunghe e calzoncini corti letteralmente scolpiti addosso. «Lavorare con un'azienda così è un sogno - ha detto Dell'Acqua nel backstage - volevo usare il pizzo in modo nuovo, privo di leziosità, con il tipico aplomb di Brioni e loro mi hanno insegnato un trucco: dargli un tocco maschile nelle rifiniture, renderlo più corposo». Anche Angela Missoni si pone il problema di dare struttura a un materiale fluido come la maglia che caratterizza da sempre la griffe fondata dai suoi genitori oltre 60 anni fa. «Questa collezione è una bomba, per fortuna la rabbia e la tensione di questi due anni di crisi si sono incanalate nei modelli più grafici e forti che abbia mai fatto» dice poco prima di far sfilare abiti ricavati da quadrati, cerchi o rettangoli: il regno della geometria. Anche le mitiche stampe diventano grafismi lineari di lettere, segni e parole a metà strada tra il tribale e lo sportswear. L'unico difetto sono i cappelli, un po' troppo da strega. Non ha difetti tranne un certo non so che di raggelante la collezione Marni ispirata alle uniformi sportive.
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