Dopo aver scritto la parola fine al capitolo industriale milanese con la chiusura di Arese, la Fiat ha deciso di non utilizzare Milano per l'erede della 147 di cui saranno presto disponibili le prime immagini. Dopo la Mi.To, un nome che doveva suggellare un legame indissolubile fra Milano e Torino e che ora appare come simbolo di un biglietto di sola andata verso il capoluogo piemontese, potremmo quindi assistere al ritorno di nomi antichi come Giulietta e Giulia, auto leggendarie che hanno scritto pagine storiche della Casa del Biscione e lasciato tracce indelebili nel costume del nostro Paese.
Era l'Alfa Romeo dell'Iri, guidata dal geniale Giuseppe Luraghi, quella che preferiva i nomi ai numeri e con una certa tenerezza, nel 1954, chiamò Giulietta Masina come madrina, oggi diremmo testimonial, alla presentazione della Giulietta Sprint, così battezzata ispirandosi, addirittura, all'eroina scespiriana. La versione coupé, disegnata da Nuccio Bertone, una vettura ancora oggi considerata un capolavoro di equilibrio di forme per auto di questo tipo, precedette la più classica versione berlina a quattro porte che venne lanciata l'anno successivo insieme alla formidabile Spider firmata da Pinin Farina. Accomunate da una tecnica raffinatissima, con telai che facevano impazzire gli ingegneri delle case tedesche nel tentativo di imitarle e motori potenti dal rombo inconfondibile, le tre versioni della Giulietta furono protagoniste della vita italiana nella seconda metà degli Anni Cinquanta, ognuna con un suo ruolo ben definito.
La sprint per l'automobilista sportivo puro, la spider come compagna di vita dei divi del cinema, e la più seriosa berlina, con le sue linee solide, dall'aria sorniona, a interpretare la parte di auto per la famiglia dinamica e a infondere sicurezza nei cittadini quando vestiva la livrea verdolina della Polizia. In veste di pantera, la Giulietta non lasciava scampo ai malviventi di allora, non ancora evoluti come quelli del decennio successivo che si trovò a fronteggiare la sua erede, la Giulia che debuttò nel 1962.
Sullo sfondo la Milano di Giorgio Scerbanenco con il suo Duca Lamberti, dove le Giulia con il disco del telefono e il numero 113 sulle portiere diventarono l'ultimo baluardo contro una criminalità che per oltre un decennio ispirò una cinematografia per fortuna dimenticata. A bordo delle pantere c'erano commissari frustrati come Franco Nero o Maurizio Merli, perché «Milano trema» e «La Polizia incrimina e la legge assolve» e sulle locandine dei film la Giulia, che nel frattempo passò dal verde al bianco-azzurro, c'era sempre, a rassicurare anche chi non andava al cinema.
Prodotta dal 1962 al 1977, la Giulia, nella versione Super, era un'automobile che faceva status, sempre là davanti in autostrada fino a quando non ci si misero i petrolieri arabi e la benzina alle stelle che spinsero l'Alfa Romeo a scrivere un capitolo poco glorioso per il marchio inventandosi la Giulia diesel da 55 cv, l'auto che, insieme all'Arna, tutti gli alfisti hanno cancellato dalla memoria. Giulia e Giulietta (la prima serie e non quella successiva del 1977) sono dunque due nomi che hanno una forte valenza nell'immaginario collettivo. Anche per chi le ha conosciute soltanto al cinema.
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