È un pentito di rango, del calibro del fu Tommaso Buscetta. Un collaboratore di giustizia storico, con alle spalle un altrettanto storico curriculum fatto di omicidi (venticinque quelli che gli sono stati contestati) e di supporto in uno dei business più importanti per la mafia, quello della droga, tanto da meritarsi il soprannome «il chimico». Ma adesso, a 60 anni e venute meno le tutele degli Stati Uniti, dove ha vissuto protetto e ben stipendiato - 8.960 dollari al mese - per 20 anni, Francesco Marino Mannoia ha deciso di tornare in Italia. Non per lo stipendio - quello italiano è decisamente inferiore, appena mille euro al mese - ma per la protezione ai suoi familiari, che l'Italia garantisce con molta più efficacia rispetto agli Stati Uniti.
Il rientro nel Bel Paese è già avvenuto. Marino Mannoia vive sotto protezione, in una località segreta. Dal febbraio del 2010 per la giustizia italiana è un libero cittadino che ha ormai scontato tutte le sue pendenze. Qui, con la famiglia, continuerà a collaborare - anche se mercoledì scorso ha dato forfait ai pm che volevano ascoltarlo su un vecchio omicidio adducendo motivi di salute - con la giustizia, come ha fatto dal 1989, quando ha deciso di vuotare il sacco col giudice Falcone.
Un pentito di rango, Marino Mannoia, al centro di numerosi processi che hanno fatto storia, per tutti quello al senatore a vita Giuli Andreotti. Un pentito a volte anche discusso - vedi le polemiche scatenate dalle sue dichiarazioni contro l'ex funzioario del Sisde Bruno Contrada e alcune contraddizioni mai spiegate - e che però, alla collaborazione con la giustizia, ha anche pagato prezzi altissimi. Quando, nell'ottobre del 1989, si seppe che lui aveva deciso di seguire le orme di Buscetta, Cosa nostra fu implacabile. Come i parenti di don Masino furono massacrati, così a Marino Mannoia la mafia ammazzò in un sol colpo, a Bagheria, la madre, la zia e la sorella. Un prezzo alto. Che però non cancella i delitti, il dolore delle vittime che Marino Mannoia, da mafioso, ha provocato.
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