Cultura e Spettacoli

Ritrovare l’unità dell’essere vivente

La provocatoria tesi sul concetto di persona del filosofo Roberto Esposito

Ritrovare l’unità dell’essere vivente

Forse non ce ne siamo accorti, ma nelle dispute politiche, giuridiche e mediche, è riemersa una vecchia categoria: la persona. In ambito bioetico, ad esempio, laici e cattolici non riescono a trovare un punto di convergenza su quando, la vita umana, debba essere considerata una persona. Chi sostiene immediatamente, nell’atto del suo concepimento. Chi invece ritiene che la vita assume personalità a partire da una determinata fase della crescita embrionale. Chi, infine, è convinto che la vita diventa persona solo con la nascita.
Laici e cattolici, tuttavia, convergono su lo stesso presupposto: la vita acquista valore solo nel momento in cui entra nella sfera della persona. Perché solo la persona può essere soggetto di diritto. E rivendicare così il diritto alla dignità, alla salute, all’istruzione e alla stessa vita. Non a caso, in una fase in cui i processi di globalizzazione tendono a rendere fluttuanti i confini statuali, per rendere universalmente efficaci i diritti umani non c’è altra via che quella di riferirli alle persone in carne e ossa. Poiché il concetto di cittadinanza è troppo astratto. E dunque inutilizzabile per garantire i diritti umani.
Tutti sembrano concordare che grazie alla vecchia categoria di persona - le cui radici affondano nel diritto romano e nella teologia cattolica - finalmente il «formale» diritto può aderire alla vita «concreta». Cosicché, l’anima può ricongiungersi al corpo. E l’uomo al cittadino. Ma è veramente così?
Non ne è convinto Roberto Esposito, uno dei più acuti e stimolanti filosofi italiani. Impegnato da anni a diagnosticare filosoficamente le questioni più brucianti del nostro tempo. Nel suo ultimo libro (Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Einaudi, pp. 184, euro 17) egli infatti imputa al «dispositivo performativo» di persona la responsabilità non solo di mantenere aperte le tradizionali fratture tra vita e diritto, anima e corpo, uomo e cittadino. Ma di riprodurle.
La sua è una tesi non solo radicale, ma inquietante, come egli stesso riconosce. Non è con il concetto di persona - precisa Esposito - che i diritti umani acquistano efficacia normativa universale. Anzi, è esattamente il concetto di persona a scavare ancora di più la distanza tra la nostra falda biologica - il nostro corpo, la nostra irrazionale animalità - e la sfera della razionale volontà. La prima, assunta come il nostro negativo. La seconda valorizzata, invece, come il nostro elemento costitutivo. Ecco perché la categoria di persona continua a escludere la vita, i nostri corpi dalla tutela dei diritti. Poiché la persona «è quanto, nel corpo, è più del corpo».
Invece, è solo assumendo una filosofia dell’impersonale o della «terza persona», che si potrà recuperare biopoliticamente l’originaria unità dell’essere vivente. Che è razionale e personale volontà. Ma sempre impiantata in quell’impersonale corpo animale da cui non può mai essere strappata, ci dice Esposito.


giuseppecantarano@libero.it

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