In patria la questione ha spaccato lopinione pubblica, ma allestero gli armeni appaiono decisi e compatti su un unico fronte: «Votch», «No». No al riavvicinamento con la Turchia annunciato dal governo di Erevan, finché Ankara non riconoscerà il genocidio del 1915. Per far sentire ancora di più la loro voce, dalla Francia una settimana fa è stata lanciata una petizione, «Votch» appunto. Sul sito http://www.votch.org sono centinaia le firme: professori, imprenditori, intellettuali, medici e giornalisti. Gli armeni della diaspora sono circa nove milioni sparsi in tutto il mondo. Da loro dipende gran parte dell'economia della piccola Repubblica ex sovietica. Ora, per la prima volta, sono tutti contro il presidente Serzh Sarkisian.
La notizia, di fine agosto, che i due Stati entro metà ottobre avrebbero firmato protocolli per ristabilire rapporti diplomatici e riaprire i confini dopo quasi un secolo di gelo, ha generato rabbia tra chi, testimone diretto o figlio di vittime dei massacri del 1915, non accetta che in nome della realpolitik si rinunci al diritto alla memoria.
Che tra gli espatriati serpeggi forte malcontento è parso visibile ieri a Parigi, prima tappa del tour del capo di Stato armeno (si recherà poi a New York, Los Angeles, Beirut e Rostov sul Don, in Russia) per sondare le posizioni dell'influente diaspora sui progetti di distensione con l'eterno nemico turco. Ad accogliere Sarkisian, infatti, sono state violente proteste che hanno portato a scontri tra i manifestanti e la polizia francese in assetto antisommossa.
Da sempre la diaspora ha una posizione più dura di Erevan sul rapporto con la Turchia. Il nodo da sciogliere ha un nome: Metz Yeghern, il «Grande Male», il genocidio degli armeni. Nei primi mesi del 1915 i russi avanzavano in Anatolia, mentre lo sbarco alleato nei Dardanelli minacciava la stessa Costantinopoli. Fu in quei giorni che venne decisa l'eliminazione del popolo armeno per opera dell'Organizzazione speciale legata al ministero dell'Interno. La catastrofe scoppiò il 24 aprile, quando a Istanbul vennero arrestati, deportati e poi giustiziati numerosi intellettuali e uomini politici di sangue armeno. In pochi mesi furono uccise un milione e mezzo di persone. Quello che solo di recente è stato riconosciuto come il primo genocidio del XX secolo, per la Turchia però è solo mistificazione storica. Ankara rifiuta il termine «genocidio» e ammette un bilancio di vittime compreso tra 300mila e 500mila.
Nell'incontro a Parigi di ieri i delegati della diaspora erano oltre 100 dai 27 Paesi europei. Per l'Italia partecipavano Alecco Bezikian, rappresentante in Italia della Federazione euro armena, e Robert Attarian, portavoce del Consiglio per la comunità armena di Roma.
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