Rivolta a oltranza dei monaci contro il regime della Birmania

Più di mille religiosi buddhisti al quinto giorno consecutivo di proteste per «spazzare via la dittatura»

Scalzi, sotto una pioggia torrenziale, avvolti solo nelle loro tuniche arancioni, i monaci buddhisti sfilano da cinque giorni nella capitale del Myanmar, la vecchia Birmania. La protesta pacifica dei monaci, amati e rispettati nel Paese asiatico, sta facendo tremare la vetusta giunta militare al potere. Pregando e cantando gli slogan «pace e sicurezza prevarranno», oppure «la popolazione non subirà del male» 1.500 monaci hanno inscenato ieri a Yangon l’ennesima protesta contro il regime.
I religiosi buddhisti si radunano in un tempio alla periferia della città ogni mattina e si incamminano in corteo verso il centro. Nonostante la pioggia incessante dei monsoni non mollano. Completamente fradici e a piedi nudi hanno pacificamente assediato il municipio di Yangon dove erano riuniti alcuni dignitari del regime. Il corteo si è ben presto ingrossato con semplici cittadini che hanno aderito alla protesta, anche se i monaci temono il coinvolgimento della popolazione, che potrebbe scatenare una feroce repressione. Nel 1988, manifestazioni del genere furono disperse a fucilate dai militari e morirono tremila persone.
Ieri, al passaggio dei monaci, la gente applaudiva e un gruppo di donne ha fatto da barriera umana fra i religiosi ed il municipio per difenderli se fossero intervenute le forze di sicurezza. I militari, che temono l’influenza dei monaci sulla popolazione, non si fanno vedere, ma attorno al corteo c’è un brulicare di agenti in borghese della polizia politica. Alla fine ieri erano in piazza in 3mila, una manifestazione che non si vedeva da anni nella capitale. In realtà le proteste sono cominciate lo scorso agosto, quando la giunta al potere dal 1962 con un golpe ha aumentato i prezzi dei beni di prima necessità a cominciare dalla benzina. La gente rischia la fame e non sa come sbarcare il lunario in un Paese dove le libertà sono state abolite. Le ultime elezioni di 17 anni fa, vinte dalla Lega per la democrazia di Aung San Suu Kyi, non sono mai state riconosciute dai militari. L’eroina dell’opposizione, premio Nobel per la pace nel 1991, è ancora oggi agli arresti domiciliari.
Almeno 150 persone sono state arrestate dall’inizio delle proteste, un paio delle quali condannate a due anni di carcere per avere dato da bere ai monaci in corteo. I coraggiosi religiosi buddhisti hanno poi circondato la prigione dove erano detenuti i due poveretti, che alla fine sono stati liberati. Con il passare dei giorni e delle marce pacifiche i monaci hanno deciso di affondare il colpo.
In un comunicato dai toni insolitamente duri inviato alla Bbc, l’Alleanza dei monaci buddhisti birmani ha bollato i militari al potere come «nemici del popolo».

I religiosi continueranno le proteste fino a quando «la dittatura militare non sarà spazzata via dalla terra birmana». I religiosi puntano dichiaratamente al collasso del regime, ma non vogliono incitare un’insurrezione generale per evitare il probabile bagno di sangue.

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