Roma La novità è che gli statali dovranno rispondere a una legge e non più alla contrattazione. Sanzioni, licenziamenti, obblighi, criteri per riconoscere ai dipendenti pubblici parte delle retribuzioni, ma anche penalizzazioni per i dirigenti che non dirigono; tutte cose che usciranno dai confini molto elastici e spesso incerti delle trattative sindacali per entrare in quelli rigidi di una norma. Novità apparentemente tecnica, ma che avrà effetti concreti. A esempio licenziamenti e penalizzazioni scatteranno automaticamente.
Ieri la riforma Brunetta è arrivata a un giro di boa importante. Il decreto legislativo che dà attuazione alla legge approvata a marzo è stata illustrata alle parti sociali. E venerdì - ha annunciato lo stesso ministro - il consiglio dei ministri dovrebbe approvarlo definitivamente. Il passaggio in Parlamento è terminato, le indicazioni di senatori e deputati sono state accolte e appena il governo darà il via libera la riforma Brunetta entrerà in vigore, con una sperimentazione durante la quale saranno monitorati gli effetti.
Tra le principali novità quella dei licenziamenti, che non saranno più un tabù. Dovrebbe anche finire l’era dei dipendenti pubblici condannati dalla giustizia per avere commesso reati nell’esercizio delle funzioni, ma che conservano il posto.
Arriva anche nello Stato il licenziamento in tronco, cioè senza preavviso. Ad esempio nel classicissimo caso di chi fa finta di essere al lavoro, timbra il cartellino e poi se ne va a spasso. Licenziamento su due piedi anche per chi si finge malato e quindi dà una «giustificazione dell’assenza mediante certificazione medica falsa». In questo caso lo statale può essere obbligato a risarcire i danni e il medico rischia la radiazione dall’albo professionale.
Licenziamento (con preavviso) anche per chi fa più di tre giorni di assenze ingiustificate anche non consecutive, nell’arco di due anni oppure per la mancata ripresa del servizio dopo l’assenza ingiustificata entro i termini. Sanzioni più leggere per chi lavora male, provoca danni all’ufficio per inefficienza o incompetenza. In questo caso l’autorità per la valutazione e la trasparenza dell’amministrazione (una creatura della riforma) può decidere di mettere «in disponibilità» il lavoratore e poi, dopo due anni, può decidere di riportarlo al lavoro con mansioni diverse oppure licenziarlo.
La riforma di Brunetta rimodula il sistema delle sanzioni e, per la prima volta, colpisce anche i dirigenti. I manager pubblici sono responsabili delle azioni disciplinari. E se non le fanno partire rischiano una sospensione fino a tre mesi. Anche il rifiuto a collaborare a un procedimento disciplinare in corso comporta la sospensione fino a 15 giorni, chiaramente senza stipendio. La contrattazione tra sindacati e stato potrà modificare il sistema di sanzioni di Brunetta, ma solo per aggiungerne di nuove, non per eliminare quelle previste dalla legge.
Oltre al bastone delle sanzioni c’è la carota. E sono i premi. Per i dirigenti la logica è quella degli amministratori delle società private, ci sarà una quota tra il 7 e il 20 per cento dello stipendio che potrà essere aggiunta o sottratta dalla busta paga. I dipendenti saranno invece divisi in tre fasce i meritevoli che si prenderanno la gran parte delle risorse destinate alla produttività (che fino a oggi erano distribuite a pioggia), poi la fascia intermedia alla quale andrà un premio inferiore. Infine gli improduttivi che non vedranno nessun aumento in busta paga.
Misure che possono sembrare rivoluzionarie per la pubblica amministrazione italiana dove, di fatto, non ci sono meccanismi di controllo. Ma che sono comprensibili se si usa una logica privatistica. Ed è per questo che le reazioni dei sindacati non sono state negative.
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